Bacheca, Parole al vento

Parole al vento, n. 4

Redazione

lbaldini

Roma, 15 gennaio 2021


Mucche

Il numero del 15 gennaio 2021

Tema


Cosa c’è di più montanaro di un pianoro verde, di un torrente che gorgoglia e di un bel numero di mucche al pascolo?
Le mucche ci hanno dato i vaccini e causano l’effetto serra, sono l’immagine della paciosità ma una cornata non fa proprio piacere, possono testimoniare la libertà e incarnare il mercimonio del corpo. Anche la Treccani le tira in ballo e alla voce “vaccata” scrive “azione gravemente scorretta, disonesta”.
Insomma l’animale è parecchio contradditorio. Va bene, forse non è “sacro” e nemmeno “pio” ma quanto era forte la mucca Carolina del formaggino “Mio”
!


colonna sonora


Atom hearth mother dei Pink Floyd

proposta da Caterina


Svolgimento


pensieri


Bruna! Si chiamava Bruna la mucca di zio Renzo.
D’estate la trovavo nella stalla e quell’odore lo trovavo solo aprendo quello porta. La sera portavamo il latte munto in latteria. Orgogliosi consegnavamo la “gamele” e il libretto dove il casaro scriveva i litri consegnati. Poi una mattina, secondo il turno, saremmo andati con la zia ad aiutare a fare il formaggio. Formaggio che avremmo trovato alla sua tavola come il burro.
Per via del terremoto che c’era stato, un’estate non trovai la Bruna al suo posto. Era stata trasferita in un paese della bassa friulana.
Zio, però, la nominava sempre, domandandosi come stava e quando sarebbe potuta tornare.
E una domenica l’andò a trovare.
Da noi la mucca non è animale sacro ma fino alla metà degli anni ’70, almeno in certe famiglie contadine friulane….

di Laura B.


 il bove: fa lo stesso? O la vacca s’arrabbia? Gual

T’amo, o pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pace al cor m’infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,
0 che al giogo inchinandoti contento

L’agil opra de l’uom grave secondi:
Ei t’esorta e ti punge, e tu co ‘l lento
Giro de’ pazienti occhi rispondi.

(Carducci, 23 novembre 1872)


“È il 1796. Siamo nella campagna inglese: è maggio, il tempo è gentile. Un bambino di otto anni di nome James (James Phipps) è il figlio del giardiniere del medico della zona, un signore di nome Edward Jenner. Un giorno James fu portato davanti al dottor Jenner insieme a Sarah, una ragazza della zona che di mestiere fa la mungitrice. Il dottore raschia una pustola che Sarah aveva su una mano, ne raccoglie un po’ di materiale (del pus, insomma), poi fa un taglietto sulla pelle del braccio di James e ce lo mette sopra.
James lì per lì non è contento. Ma oggi viene considerato ufficialmente il primo bambino vaccinato della storia. 
Sì perché quelle che Sarah aveva sulle mani erano pustole di vaiolo bovino, una forma simile al vaiolo umano ma non altrettanto pericolosa. Chi si prende il vaiolo bovino, si diceva, è protetto contro il vaiolo umano. E non era un caso che Sarah fosse una mungitrice, quindi.

Che cosa è successo, dopo, a James? Il dottor Jenner lo annotò scrupolosamente sul suo diario. James dopo una settimana manifestò i sintomi di una blanda infezione, compresa febbre, malessere, doloretti vari, e poi guarì. Un mese dopo il dottor Jenner gli inoculò per la prima volta il virus del vaiolo, e poi lo fece almeno altre venti volte. Ma James non si ammalò mai e non ne morì. Intorno a lui, intanto, migliaia, decine di migliaia di persone contraevano la malattia e una su tre ne moriva. Chi sopravviveva restava terribilmente sfigurato per tutta la vita.
E che cosa è successo, dopo, al dottor Jenner? Che nel 1797 ha presentato i risultati dell’esperimento alla Royal Society, lo ha ripetuto su altri bambini compreso suo figlio, ed è passato alla storia come il primo eroico vaccinatore del mondo (diciamolo, il suo esperimento sulla pelle di un bambino oggi non sarebbe proprio accettabile, ma a quei tempi non si andava tanto per il sottile). Da allora il vaccino contro il vaiolo è stato reso disponibile a tanti altri bambini, e grazie alla vaccinazione a tappeto andata avanti per decenni nel corso del secolo scorso oggi il virus del vaiolo è scomparso dalla faccia della Terra. Ultimo caso registrato: 1977. Dal 1980 è dichiarato estinto. “
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Da Jenner alla pandemia di Covid-19 di Silvia Bencivelli


Dal muro in fondo al prato, in mezzo al fieno
una forma si muove e si distacca,
ed è una vacca
che avanza il muso per guardare il treno,
il diretto che passa all’11 ore;
perché (sappia il lettore
di questa commovente poesia),
in fondo al prato c’è la ferrovia.
La vacca guarda: uno dei gran diletti
dei bravi ruminanti,
(e possono osservarlo tutti quanti),
è di fermarsi in estasi davanti
ai treni in corsa, specie se diretti.
Ma un po’ per uno: se ci sono vacche
che fan l’occhietto alle locomotive,
(anime sensitive,
e non automi o rapide baracche)
ci sono pur delle locomotive,
che guardano le vacche.
Le guardano coi grandi occhi di vetro
dei loro due fanali,
ed è con infinita nostalgia
ch’esse si lascian dietro
oltre i fuggenti pali
del telegrafo, a vol, la prateria,
i campi, dove ci si può sdraiare
tanto tranquillamente, e contemplare
— lungi obliando le stazioni fosche —
il vol delle farfalle e delle mosche!
«Oh! — sospiran le macchine (e nel mentre,
con il fuoco nel ventre,
tirano via rotando e strepitando)
quando — ripeton — quando
potremo essere libere anche noi;
goderci la cuccagna
di vivere in campagna,
tra le famiglie placide de’ buoi?
Oh, potere campar senza gran stento
di un po’ di fieno e un po’ di sentimento
come certi poeti!
Poter far nulla, all’ombra dei querceti!
Non più mangiar carbone e sputar fumo,
per l’uso ed il consumo
di gnomi irrequïeti
sorti dall’umo, e spinti verso l’umo.
Oh gioia, starsi con le ruote all’aria
in grembo all’erbe tenere,
vicino a qualche fonte solitaria
che piglia il fresco sotto il capelvenere!
«Ma quando s’è locomotive occorre
— fatalità! — essere sempre altrove,
sempre lasciarsi imporre
la volontà tiranna degli orari
ferroviarii,
compreso quando piove
e fanno i peggio tempi de’ lunarii!
Bisogna sempre aver la testa a segno,
anzi ai segnali,
e prendersi l’impegno
d’essere puntuali,
perché c’è sempre, in questo od in quel posto,
da non mancare una coincidenza.
Se non si può… pazienza!
Ma intanto, avanti, avanti ad ogni costo!».
E le locomotive vanno, vanno
senza riposo; eppure,
nelle latebre oscure
de’ lor cilindri a triplice espansione,
conservan sempre una speranza, ed hanno
sempre un’illusïone.
Che proprio mai debba spuntare il sole
del giorno avventurato
che potran rotolarsi in un bel prato,
vigilate da buoni contadini,
a fare capriole
insieme ad una lor giovine prole
di saltellanti locomotivini?

Poesia nostalgica delle locomotive, di Ernesto Ragazzoni (1956)
proposto da Massimo


 … ogni anello della catena industriale che fa arrivare alle persone mediocrità invece che qualità, vaccate invece che bene comune, ha un pezzetto di responsabilità e un pezzetto di opportunità. La relazione tra le vaccate, le feste abusive sul lago di Garda e Donald Trump è stretta.

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Luca Sofri, Vaccate, 3 Gennaio 2021


Il numero incredibile di mucche francesi che si vedono dal finestrino di un TGV, libere al pascolo, in un verde infinito, il tetto di qualche cascina a chilometri di lontananza, ci fa pensare con grande solidarietà alle loro colleghe padane, quasi sempre in stalla, quasi mai al pascolo o all’alpeggio nonostante alcuni generosi tentativi di rilanciare la transumanza. E ci fa pensare a quale gigantesca porzione di territorio ci siamo giocati, milioni di ettari di zolle trasformate in zone artigianali e zone industriali che oggi sono spesso solo gusci vuoti, filari di capannoni abbandonati, rotonde stradali percorse da nessuno, piazzali d’asfalto screpolati dalle erbacce.
Era obbligatorio? Qualcuno ci ha riflettuto? I pochi che, negli anni, hanno messo in guardia la nostra comunità sono stati trattati da menagramo o da fanatici. Specie quando le cose andavano bene. E adesso? Tutto è accaduto, da noi, come se fosse un fenomeno naturale e non il frutto di scelte di economia e di politica. È vero, la Francia ha un territorio doppio del nostro a parità di popolazione. Ma il pays (e il paesaggio) sono stati considerati bene comune, non una terra di nessuno da dissipare. Ecco la tragica differenza: là cosa di tutti, qui cosa di nessuno.

Michele Serra, La Repubblica del 15/09/2013.


Vuoi essere felice? Abbraccia una mucca

vai all’articolo
Marco Moretti, La Stampa del 14 Ottobre 2020


arguzie


Angolo de “la nostalgia canaglia”


Visto che abbiamo tutti una certa età, penso che tutti ricordiamo bene la copertina di Atom hearth mother dei Pink Floyd…
da Caterina

Ricordo vagamente😄 da Gabriella


Questa è ancora più antica
da Pino

E io mi ricordo pure questa 🙄 da Rossella


Ricostruito il Dna dell’uro l’antenato della mucca
da Pino: Io pure questo…


Io pensa che se capo di tifosi è questo, società di calcio deve cominciare a fare qualche riflessione

Una sera a Capitol Hill

La mucca sui binari, @JimmyFvl, 7 gen – In risposta a @VujaBoskov


Dire che un vaccino a mRNA può modificare il nostro DNA è come dire che un dado da brodo contenuto nel frigo può trasformarsi in mucca, uscire e sporcarci la cucina

@RobertoBurioni, · 4 dic 2020


Ora so a chi dare la colpa quando riduco la cucina uno schifo: “è stata la mucca uscita dal dado da brodo”. Devo solo trovare qualcuno che ci creda. Ma non mi sembra un’impresa impossibile…

@corsi_gabriele, 4 dic 2020


tante parole, il testo lungo


La mucca arcobaleno, sul sito di Arcoiris non può mancare


La mucca del signor Walter


Una mucca di Vipiteno aveva mangiato l’arcobaleno. Di solito le mucche mangiano l’erba, fieno, cose così. Ma quel che non succede in mille anni, può succedere una sera, all’ora del tramonto, dopo un furioso temporale. Era, quella, una mucca di bocca buona, mangiava i fiori blu, ma non disdegnava quelli gialli, brucava volentieri il trifoglio e non le dispiacevano affatto le piantine di finocchio.
Quella sera si era trovata davanti al naso l’arcobaleno, la base di quel magnifico ponte di tanti colori e lei… lapp, lapp, lapp, cominciò a mandare giù, insieme all’erba anche delle belle boccate di arcobaleno. La mucca rientrò poi nella stalla come tutte le altre sere.
Il signor Walter cominciò a mungere le sue mucche, ma dalle poppe della mucca che aveva mangiato l’arcobaleno, prese a schizzare un latte blu che il signor Walter non aveva mai visto.

Il signor Walter si guardò le mani: erano pulite. Nessuna macchia, nè blu nè arancione. Il secchio lo aveva appena lavato, come faceva per abitudine. Riprese a mungere e il latte riprese a scendere nel secchio, sempre blu.
 – Eccomi messo proprio bene, – borbottò il signor Walter.
Ma eccolo messo ben peggio le sere successive, quando la mucca fece il latte verde, giallo, rosso, indaco e violetto.
Venne il veterinario, vennero tutti i contadini e allevatori di mucche della zona, perchè si era sparsa la voce del fenomeno e ognuno voleva vedere con i propri occhi e dire la sua con la propria lingua.
La discussione fu molto lunga ed animata. Solo la notte mise fine al dibattito. Ma nei giorni seguenti anche le mucche della vallata cominciarono a fare il latte colorato.
Si era, in effetti, nella stagione dei temporali e degli arcobaleni.
Le mucche presero, dalla testa alla coda, i più bei colori che mai. Si vedevano mucche a pallini verdi, mucche a disegni scozzesi, mucche a strisce e a quadretti dei sette colori scesi dal cielo.
Alcuni giorni dopo, nel primo pomeriggio, scoppiò un temporale di prima classe. Il signor Walter si munì di un ombrello verde e si diresse verso il pascolo dove la sua mucca si prendeva beatamente sulla pelle un acquazzone dopo l’altro senza scolorirsi.
Dovette aspettare un bel pezzo prima che i tuoni e i fulmini si allontanassero verso le altre vallate e tra le nubi sbucasse, ancora tutto bagnato, il primo raggio di sole.
Il signor Walter richiuse l’ombrello e rimase pazientemente ad aspettare. Ed ecco, a un certo punto, una mucca alza la testa e lancia un muggito. Poi dalla sua bocca esce qualcosa, una bava, no, un filo, no, un fumetto, ma un fumetto colorato, una specie di bandiera che sale, sale sul più alto pennone dell’aria.
Un arcobaleno che va a distendere la sua arcata proprio di fronte al signor Walter, in direzione del sole.
E quasi subito dopo, tutte le mucche sparse per i pascoli sui due fianchi della vallata mandano in cielo degli splendidi arcobaleni.
E mentre loro stanno lì a bocca larga per far uscire tutti i colori, le loro pelli si stingono, tornano al naturale, scompaiono i pallini, le strisce e i disegni scozzesi.

G.Rodari “Il gioco dei quattro cantoni”       

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