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Piantastorie: il Faggio


numero 4 – Newsletter dell’Associazione Arcoiris – settembre 2019


faggeta

Spettacolare. L’effetto del verde con le sue macchie dalle sfumature infinite che ricoprono le montagne del nostro Appennino sono uno spettacolo. Quelle tenere foglioline che, a primavera, si aprono al sole e contrastano con le aree scure dei sempreverdi, indifferenti alle stagionalità, segnano un contrasto impareggiabile.
A teatro o al cinema a volte si può rimpiangere il costo del biglietto, ma quando si ha la fortuna di intraprendere una passeggiata sulle nostre montagne il sipario si apre sempre su una scenografia da Oscar. E gran parte di questi fondali magici li dobbiamo al Faggio!
Che pianta il Faggio! Per la verità, quelli della Valle Cavalera, splendidi spettatori di nostre abituali escursioni, sono stati sfregiati con una segnaletica ridondante e così ben eseguita da far smarrire moltitudini di escursionisti! Più rispetto hanno avuto i faggi ricurvi che incontrammo in quell’angolo da incanto che è la riserva Guadine Pradaccio (alta val Parma).
Ma perché il Faggio che ha sempre il tronco che sale dritto verso la luce, in alcuni casi si fa sciabola? Una sola risposta pare non ci sia: c’è chi dice che è il peso della neve, chi tira in ballo il vento, ma c’è chi si diffonde in spiegazioni intricate sulla composizione dei terreni. Intricate come i Faggi.
I meravigliosi “intrichi del Faggio” hanno ispirato Guccini, ma prima di lui nemmeno Leopardi si era astenuto da citarlo.

Lungi dal proprio ramo,
povera foglia frale,
dove vai tu? Dal faggio
là dov’io nacqui, mi divise il vento.
Esso, tornando, a volo
dal bosco alla campagna;
dalla valle mi porta alla montagna.
Seco perpetuamente
vo pellegrina, e tutto l’altro ignoro.
Vo dove ogni altra cosa,
dove naturalmente.
va la foglia di rosa,
e la foglia d’alloro.”(1)

(1) Imitazione di Giacomo Leopardi

Il pessimismo leopardiano non corrisponde alla spiritualità che si respira a Camaldoli o a La Verna. Anche qui le faggete sono antiche e meravigliose. Non è difficile pensare che in quei boschi gli uomini di fede si avvicinino molto facilmente al loro Dio. Ma il Faggio così efficace nell’evocare il trascendente é perfetto anche in compiti più materiali.
Il suo legno è così  dolce e duttile da essere il favorito dei falegnami per certi lavori. Il legno del nostro albero così entra spesso in cucina e ci accompagna in quella attività che incredibilmente ha invaso gli schermi televisivi e la nostra vita.
Mestoli, cucchiare, cucchiarelle, spianatoie e i fantastici sciffetti, contenitori di polente succulente e di sugose indimenticabili sagne: tutta roba che viene dal nostro Faggio. Sciffetto le cui forme ricalcano quelle dell’antico capisterio, oggetto tanto importante da entrare, con ruolo da protagonista, nelle storie della vita di San Benedetto.
Il primo miracolo del patrono dell’Europa, allora appena diciassettenne, consistette nel riparare, con le preghiere, un capisterio rotto dalla sua nutrice. Il miracolo è il soggetto di uno dei mirabili affreschi del Sodoma all’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore; qui siamo nel senese e giganteggia il cipresso, ma come si fa a non citare luogo così speciale?
A Norcia, invece, c’è un bellissimo Ostello, con tanto di piscina, che per ricordare il Santo e il suo prodigio si chiama “Il Capisterium”.
Speriamo non ci voglia un miracolo per risistemare anche le ferite che il terremoto ha inferto alla cittadina umbra.

FAGUS SYLVATICA
Faggio comune

Syst. Sex. Ord.
CL. XX. Ord.
Nat. Juss.
VII. CI. XV. Ord. I V9
Monoecia Polyandria Amentaceae

Il Faggio vive nelle cime dei monti, alle
altezze ove il freddo impedisce la vegetazione
de’ Castagni. Si contenta di ogni poca di terra, trovasi in luoghi quasi totalmente sassosi, e resiste meglio di qualunque altro albero alla furia dei venti.
E stato avanzato da alcuni Autori che il Faggio perisce se si trapianta, o almeno che non si può trapiantare senza che soffra molto, ma è certo che con un poco di diligenza per non guastargli le radiche, e specialmente
il fittone, si trapiantan benissimo senza loro danno, come lo ho esperimentato, così che la cosa si riduce solamente a esser difficile, come già aveva detto Linneo.

Difficilis transplantationis, quia si radix primaria detruncatur, uti Quercvs, vix ulterius in altum extollitur caudex .

Lin, Arbor. Suec.

Le foglie del Faggio si seccano, ma non cadono, che allorquando spuntan le nuove, il che segue verso i primi di Aprile. Esse, e la scorza son buone per la concia delle Pelli.
Le faggiole, o frutti del faggio, son buone a mangiare , ma in troppa quantità cagionano una specie di temulenza , sono un’ottimo ingrasso per il bestiame, e danno per espressione un olio buono per ardere, e passabile per condimento, sul che merita di esser letto quanto ne dice Targioni nei
suoi Viaggi . Ediz. 2 , T* 6 , p. 52 ove entra in diversi dettagli i quali posson facilitarne la manifattura , che sarebbe di grandissimo profitto se si introducesse nei luoghi ove tale albero è spontaneo.
Il legno del faggio è stimato per camminetti, e se ne fa anche carbone. I montanari poi ne fanno infiniti lavori come tavolette
sottili da scatole, stecche e mazze da ombrello, rocchelle, pettorali e mestole, ramajoli, pepajole, pale, remi, seggiole, madie e specialmente vasi, al qual uso era destinato fin dagli antichi tempi. (…)


Definizione tratta da:
Trattato degli alberi della Toscana, di Savi Gaetano (1769-1844) 
Firenze – G. Piatti, 1811 – 2. ed. con moltissime aggiunte
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Immagine tratta da:
Iconographia florae italicae : ossia, Flora italiana illustrata …, di

Fiori Adriano (1865-1950), Crépin François, (1830-1903), Paoletti Giulio, (1865- )
Padova : Tip. del seminario,1895-1904.
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Luciano B.

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