Resoconti

La macchina del tempo

Redazione

lbaldini


Roma, 26 novembre 2021


Domenica 7 novembre 2021 – Passeggiando nel Quartiere XXXI – Dal Villaggio Giuliano-Dalmata al Castello della Cecchignola


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La macchina del tempo


Domenica 14, ‘ci vediamo alla Metro Laurentina alle 9!’; come tanti adolescenti pronti per un altro giorno di festa, ci siamo trovati alla Stazione Metro. Ad attenderci la nostra guida, Marina, di nuovo in azione.
Un filo logico conduceva la nostra visita, e il filo si riannodava con la precedente visita da lei condotta: allora si finiva alla casa di Ungaretti, e da qui si è ricominciato. Poi, subito, attraversando compatti (ma un po’ distanziati) la Laurentina, fino a raggiungere il Quartiere Giuliano-Dalmata.
Molti dei soci, che non hanno partecipato, si chiederanno: Dov’è? Cos’è?
Il quartiere giuliano-dalmata nasce, tra il Divino Amore e la città militare della Cecchignola, come Villaggio Operaio E42, adibito ad alloggiare gli operai impegnati nell’allestimento dell’Esposizione Universale di Roma (che originò il quartiere EUR). Con lo scoppio della guerra gli operai abbandonarono le loro case che, a fine conflitto, rimasero abbandonate.
Con la fine della guerra e l’esodo di molti italiani dalle regioni già italiane (e ora della Jugoslavia) dell’Istria, della Venezia Giulia e della Dalmazia, gli esuli giunti a Roma occuparono le ex camerate degli operai. Fu solo il 7 novembre 1948, alla presenza dell’allora sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri on. Andreotti e della sig.ra De Gasperi, consorte dell’allora primo ministro in carica, che avvenne la consegna ufficiale delle prime unità abitative agli esuli (le camerate dell’ex villaggio operaio ristrutturate e riadattate a piccoli appartamenti). Nel 1955, in seguito all’arrivo di circa duemila esuli istriani e dalmati, assunse il nome attuale.
Questa la storia in breve, ma raccontata da Marina era un’altra cosa: abbiamo ascoltato storie di persone, e di vite; anche dietro la nascita e l’azione di istituzioni di assistenza, Marina ci ha mostrato l’impegno e l’opera di chi le animava. Così, Marcella Sinigaglia Mayer e Oscar Sinigaglia, moglie e marito che organizzarono le attività della Casa, si adoperarono negli anni affinché le bambine di provenienza giuliano-dalmata avessero una vita materiale dignitosa e un adeguato riconoscimento sociale.
Nella piazza della Chiesa, poi, mentre Marina ci mostrava le mattonelle in travertino che riportano incise il nome dell’esule e la città di provenienza, abbiamo fatto un incontro di prestigio. Un signore, che leggeva il giornale, ascoltato l’argomento della nostra riunione, si è presentato e ha raccontato la sua storia.
Nato in Istria, scappò con i genitori alla fine della guerra, perché la vita era difficile per le persone di lingua italiana, anche se il regime di Tito avrebbe voluto mantenere molta manodopera qualificata. Percorsero la penisola e, dopo un breve soggiorno proprio a Centocelle (dove molti di noi abitano adesso), arrivarono in questo quartiere.
Ci raccontava della sua storia, con il desiderio che quella storia non doveva andare perduta. Ci ha parlato del Museo poco lontano, momentaneamente chiuso (il Presidente era in isolamento per il Covid); abbiamo saputo del grande magazzino di Trieste dove sono (ancora) tutti gli oggetti di casa, e i mobili, lasciati nella fretta di andare via, o nella impossibilità di portarli con sé. In una valigia, o poco più, doveva essere ristretta una vita. E poi l’atteggiamento di diffidenza, arrivati in Italia.
Salutato il nostro amico, siamo andati verso il Parco della Cecchignola, dove la strada si è fatta sentiero, e Roma ci ha mostrato la sua fisionomia campagnola, da ‘Prati del Popolo Romano’ (erano detti così I prati di Testaccio, dove romani e burini andavano a ottobre a far festa, contenti di poter uscire fuori porta senza i pericoli della malaria che infestava le campagne intorno).
Una cisterna artistica (che ha vinto un premio, se non ricordo male), un castello non visitabile, un grande campo arato, e poi di nuovo ‘in città’.
Ultima tappa (mentre qualcuno aveva già salutato) al monumento dedicato ai Caduti delle Foibe, dove Marina, snocciolando con noncuranza ulteriori date e dati, ci ha parlato delle esecuzioni di massa, gettando uomini e donne direttamente nella tante cavità carsiche dell’Istria e della Venezia Giulia.
Ci siamo salutati con un pensiero ai tanti caduti di tutte le guerre e dopoguerra, ringraziando Marina di averci fatto fare questo nuovo viaggio attraverso il tempo.

Giuseppe M.

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