9 luglio 2023 – volontari alla mensa Caritas di ponte Casilino
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In una afosa domenica di inizio luglio, intorno alle 17 – ché alle 17,30 si iniziano a servire i pasti – uno sparuto gruppetto di arcoirissiani (e state “freschi” a voler dare l’assalto ai neologismi) si presta a fare un’altra giornata di volontariato presso la mensa della Caritas, in via Marsala; in realtà Fernando e Gabriella li abbiamo trovati lì, già indaffarati in compiti vari.
Dei dintorni abbiamo raccontato più volte: con la cappa estiva mi sembrano da una parte più praticabili (alla luce del sole?) e dall’altra più faticosi per chi deve sopportare l’afa romana, sommata agli altri disagi di chi ha come casa un marciapiedi, un ponte, un prato, una tenda.
Qualcuno mi aveva raccontato che la volta precedente faceva un caldo terribile anche all’interno dei locali; oggi abbiamo trovato aria condizionata e una gradevole frescura. Abbiamo anche trovato un gran numero di volontari, cosa che ci ha piacevolmente sorpresi.
Dopo qualche tempo che si fa servizio qui, si cominciano a riconoscere le persone che ci vengono a mangiare, ognuno con il suo carattere, ognuno con la sua storia; qualcuno ti rivela anche dei “trucchetti” che permettono di sopravvivere meglio senza tetto: mi tengo abbastanza pulito, giro con gli autobus, ho una sacchetta del pronto soccorso; ho trovato un bello spiazzo riparato sotto al Palazzo dei Congressi: non litigo con nessuno e la sera arriva un poco di frescura. Queste vite mi sembrano più semplici, meno complicate delle nostre: si fa attenzione ai bisogni primari, agli aspetti essenziali della sopravvivenza; ma, forse, è soltanto la sensazione di uno che ha un bel mestiere, la casa, la macchina e i servizi col bidet (cit.: “Il bonzo”, Enzo Jannacci).
Torniamo a noi. Una volta entrati nella sala, come al solito, ci si divide tra le varie occupazioni: chi sta alla linea dei pasti, chi in sala a portare brocche d’acqua e pulire i tavoli utilizzati, chi toglie il carrello dei vassoi per portarli al lavaggio, qualcuno dà una mano in cucina, altri registrano i commensali. A me e Fernando i responsabili hanno chiesto di stare all’ingresso a controllare la fila; questo compito è un po’ complicato dal fatto che tutti quelli in coda hanno fame, che qualcuno “sgradassa” (cfr.: prima parentesi) e vuole infilarsi, passa davanti: tra noi due – con modi sempre tranquilli – e la ragionevolezza degli altri in fila, si riesce sempre a controllare abbastanza la situazione; quella che “devo solo prendere il caffè”, quello con la stampella, la signora anziana che zoppica, insomma, passano e gli altri si rassegnano, più o meno pazienti.
Il pomeriggio va avanti tranquillamente, tutto pare funzionare come deve. Con il passare del tempo non c’è più fila: entriamo a dare una mano in sala, a pulire e rifornire gli ospiti di brocche di acqua fresca, che si scalda alla velocità del suono.
Esco per fumarmi una sigaretta, ormai i ritardatari arrivano uno per volta, i due volontari al cancello sono rilassati e chiacchierano tra loro; quelli che hanno già mangiato e non sono andati via siedono sulle panchine, bevono il caffè, fumano: si intuiscono amicizie e qualche scherzoso tentativo di approccio.
A un certo punto siamo tutti attratti da una discussione animata: tra due ragazzi neri i toni sono acuti, aspri. Uno è piazzato, l’altro smilzo; il piazzato sembra voler tranquillizzare lo smilzo, che però strilla sempre di più; interviene uno dei due volontari che stavano al cancello (più grosso e piazzato del piazzato), li separa, le voci per un po’ si acquietano, la discussione prosegue, sembra, in modo più misurato… finché lo smilzo parte con una “capocciata” al piazzato, sentiamo il rumore delle teste che si scontrano; il volontario interviene di nuovo, mi pare che lo faccia nel modo giusto: è fermo ma diplomatico, cerca di riportare la calma e ci riesce. Il piazzato se ne va, lo smilzo ha un taglio sulla fronte e perde sangue: viene assistito e disinfettato, pur continuando a mostrarsi molto agitato. Chissà che storia c’è dietro.
Chissà quante storie ci sono dietro queste persone e queste vite a noi così sconosciute.
Massimo M.