newsletter: Conversazioni iridate

Henriette, una vita piena piena


numero 25 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk –febbraio 2023


Henriette Thormann , nostra socia da tempo e sicuramente decana per età, la conosciamo intraprendente, sorridente e curiosa delle persone e dei luoghi. Grande viaggiatrice è matriarca di un clan molto unito.

Henriette, dove e quando hai conosciuto Arcoiris.

Con Arcoiris ho fatto la prima passeggiata a Monteverde, il mio quartiere, su suggerimento della mia amica Antonella, credo nel 2011. Mi sono trovata subito a mio agio con persone di varie provenienze, mestieri ed esperienze ma uniti, quella volta, dall’interesse e dall’attenzione per il quartiere. In seguito, ho scoperto lo stesso amore per la natura, per le città, per l’arte, sempre con occhio attento alla solidarietà. Questa comune e profonda curiosità e dedizione mi unisce fortemente ad Arcoiris.

Hai fatto camminate e sport fin da piccola?

Sì, da sempre, con la mia famiglia camminavamo spesso in montagna. Mi hanno messo sugli sci a un anno e mezzo, ho iniziato il pattinaggio artistico, naturalmente il nuoto, compreso quello nell’Aare, il bellissimo fiume di Berna, che è la città dove sono cresciuta. Lo sci in particolare era una mia grande passione, abbandonata venendo in Italia, dove il mare mi ha riccamente ripagato. Insomma, diciamo che è andata così.

La più bella escursione in Arcoiris

È veramente difficile dare una preferenza. Mi sono rimasti in mente i giorni a Livorno, per l’interessante storia della città e certamente per la sua bellezza e ho goduto a pieno la gita all’isola d’Elba. Mi viene da sorridere perché mi è rimasta in mente in particolare l’uscita nella zona di Pitigliano dove avevamo camminato lungo una tagliata etrusca sotto una pioggia impietosa, con l’acqua che attraversava qualunque giacca, incurante dell’impermeabilizzazione. Eravamo letteralmente zuppi, quando a un certo punto ho abbassato il cappuccio e mi sono ritrovata con i capelli totalmente bagnati.  Giuseppe, che stava vicino a me, con la sua aria di sfottò osservò: “Questo è un problema che io non ho”. In tutto il gruppo c’era un’aria di complicità e di vicinanza che ci faceva superare tutte le avversità, insieme avremmo affrontato qualunque difficoltà. Poi, alla fine, il caffè, le chiacchiere, la convivialità di sempre.

Mi piacerebbe che tu raccontassi le tue origini svizzere e perché e quando sei venuta in Italia.

Sono cresciuta a Berna. Oltre ai miei amici con i quali ci siamo divertiti moltissimo nelle più varie attività, ho anche frequentato amici della Svizzera francese, trovandomi bene forse per il carattere più latino. A vent’anni, completata la specializzazione per insegnare all’asilo, ho fatto domanda per la Scuola Svizzera di Firenze, dove ho insegnato per tre anni. Non ricordo di averci pensato molto, mi sembrava la cosa più naturale da fare. In questa decisione ha forse influito il fatto che avevo un nonno italiano e che abbiamo sempre viaggiato in Italia. Il mio, infatti, è stato un inserimento abbastanza facile, diciamo del tutto naturale, anche se le differenze con la vita in Svizzera sono notevoli. Terminato questo periodo, ho deciso di andare a Roma, dove il mio fidanzato stava facendo il servizio militare. Terminato il periodo di leva siamo rimasti a vivere qui, dove ho iniziato a lavorare all’Istituto per il Commercio con l’Estero (ICE), che mi ha dato enormi opportunità, sia quella di conoscere da vicino le aziende italiane sia quella di lavorare all’estero.

Il tuo nonno italiano mi incuriosisce. In quell’epoca, doveva essere all’inizio del 900 o ancora prima, molti italiani sono stati costretti a cercar lavoro e fortuna altrove.  Da dove veniva il nonno e come mai è emigrato in Svizzera?

Etienne Perincioli all’opera

Mio nonno Etienne Perincioli era davvero una figura imponente: con la sua grande barba, sempre vestito da artista con giacca di velluto nera, e in inverno lunga cappa sempre nera, mi incuteva profondo rispetto.

Da giovanissimo, dopo aver frequentato una scuola d’arte è partito da Doccio, un piccolo paese in Piemonte, per Ginevra, dove all’epoca si costruivano grandi alberghi, ed erano molto richiesti i decoratori di rilievi in gesso. Lui, da sempre ammiratore della democrazia svizzera, ha iniziato a lavorare lì. Più tardi si è stabilito a Berna, dove ha intrapreso, sempre lavorando, il percorso da decoratore a scultore, frequentando scuole e corsi e studiando per un anno a Parigi.

A Berna ancora oggi possiamo vedere molte opere sue, tra le quali mi colpiscono in particolar modo quelle che rappresentano animali; cogliendo perfettamente le loro caratteristiche riusciva a renderli vivi.

Ero abbastanza piccola quando un giorno mi ha convocato nel suo atelier perché assistessi alla colata di bronzo per la realizzazione di una statua. Il momento era denso di solennità e di massima attenzione. Mi piacerebbe tantissimo parlare con lui adesso, era un uomo curioso di tutto, di molte letture e frequentazioni vastissime, compresa quella di ambienti anarchici.

Hai lavorato all’Istituto per il Commercio estero (ICE), per un periodo anche a Parigi. Chissà quali delle tue doti ti sono servite di più per svolgerlo bene.

All’ICE ho avuto l’occasione di lavorare in differenti settori, cosa che mi ha sicuramente arricchito. Tra le qualità che mi hanno aiutato nelle più diverse situazioni c’è la conoscenza delle lingue e la mia educazione svizzera, pragmatica, che mi ha dato sempre la certezza di poter contare su conoscenze di base solide. Non mi sentivo mai persa e anche durante la complessa organizzazione di una fiera o di un evento a Pechino, per esempio, oppure a New York, avevo la sicurezza che me la sarei cavata. Anche durante il periodo in cui ho lavorato nella sede del nostro Istituto a Parigi, il mio modo di concepire e organizzare il lavoro mi ha sicuramente aiutato nel mantenere il difficile equilibro tra noi e i colleghi francesi, piuttosto rigidi, e le richieste della dirigenza spesso variabili se non, a volte, contraddittorie.

So che vivi a Monteverde. Hai sempre vissuto qui da quando sei a Roma?

Nei primi tempi ho abitato in via del Babuino. In quel periodo lavoravo in un negozio di mobili di design, la MIM. Poi sono andata a vivere con mio marito vicino a Campo de’ Fiori, in un piccolo attico a Piazza Trinità dei Pellegrini, che mi sono potuto comprare. In quel periodo il Centro di Roma era completamente diverso, molto più popolare. A Piazza San Cosimato le famiglie portavano la cena da casa e bevevano il vino all’osteria. Le famiglie formavano grandi tavolate: c’erano tutti, dagli anziani ai bambini anche molto piccoli. Grandi recipienti con la pasta coperti da tovaglioli bianchi venivano posati sui tavoli. Quel periodo me lo ricordo volentieri, noi vivevamo in stretta amicizia con un pittore e sua moglie svedese, ci aiutavamo, il periodo non era sempre facile.

Prima della nascita del secondo figlio ci siamo trasferiti in Clivio Monte del Gallo, dove abbiamo veramente vissuto il quartiere. Gli amici dei miei tre figli stavano spessissimo a casa nostra. Anche noi genitori avevamo sempre amici a casa (mio figlio recentemente mi ha domandato: come facevi ad andare a lavorare la mattina?). In quel periodo si faceva politica a scuola e nel quartiere.

Nel 1988 ci siamo trasferiti a Monteverde, e dopo meno di un anno ho colto un’occasione di lavoro e mi sono trasferita a Parigi per sei anni. Al mio ritorno a Monteverde ho iniziato ad apprezzare le molte qualità di questo quartiere dove mi trovo veramente a casa.

Sei un’amante dell’arte. Per te qual è il luogo o monumento d’arte più bello in Italia, e a Roma?

A questa domanda mi balza subito nel cuore l’Ara Pacis. Oltre al significato che conosciamo tutti e che si sente forte in quel luogo c’è anche un’esperienza molto personale: essendo cresciuta con un padre con una forte vicinanza al mondo greco sono stata educata con la certezza che l’arte greca era il massimo possibile. Guardando attentamente gli altorilievi romani sono stata rapita dall’umanità e dalla vivacità che esprimevano e da quel momento in poi ho sempre goduto molto l’arte romana.

Henriette al mare

Quali le altre tue passioni?

Le mie passioni? Certo, mi piace viaggiare, leggere, ascoltare musica e godere delle bellissime cose che sono state create dagli artisti, ma quando mi vedo trafficare sul mio terrazzo mi vengono in mente i personaggi del Candide, che dopo tutte le loro più strambe avventure e il loro filosofare si ritirano in una casetta e convengono di restare lì a curare il giardino “per seguire il corso delle cose”. Mi piace moltissimo curare le varie piante sul mio terrazzo, vedere come crescono e tutto quello che comporta (non sono sempre rose e fiori, come si dice). Ti farà sorridere, ma mi ha dato una enorme soddisfazione che la pianta di pomodori che quest’anno ho provato a far crescere, si avvia a dare una seconda raccolta. Se infatti, faranno in tempo a maturare i piccoli pomodorini che sono apparsi con mio grande stupore, dopo che la pianta aveva già dato molti frutti ed era praticamente appassita, avrò una seconda raccolta. Io l’ho solo annaffiata.

Visto che ci chiamiamo anche Gastroiris e dato che so che spesso cucini per la tua famiglia allargata, hai una ricetta (svizzera) per noi?

Allora vi parlerò della Rösti, piatto che viene addirittura utilizzato come metafora per indicare la differenza culturale tra la svizzera francese e quella tedesca. Noi svizzeri chiamiamo il confine linguistico “Röstigrabe” (fosso della Rösti). È un piatto che i contadini mangiavano comunemente, non so se è ancora così. Quando ho fatto il servizio volontario presso una famiglia contadina dopo la guerra, la mattina si metteva un piatto di Rösti in mezzo alla tavola e ognuno mangiava dalla propria parte. Alla fine, rimaneva un pezzettino in mezzo dove i cucchiai si incontravano, quello si dava ai polli.

La ricetta è semplice: grattugiare le patate con una grattugia a fori piuttosto larghi (se sono umide, strizzarle un po’ con uno straccetto). In una padella mettere dell’olio e del burro, aggiungere le patate lasciandole soffriggere piano piano e girandole spesso, finché sono cotte, poi lasciarle abbrustolire da una parte fino ad aver formato una crosta dorata e girare il tutto per fare dorare l’altra parte. È meglio salare alla fine per non lasciare che le patate si inumidiscano.

Grazie. Infine, so che non fa parte del bon ton chiedere l’età a una signora. Tuttavia, vorrei che evocassi il primo evento storico che ti è rimasto impresso quando eri piccola.

Ero molto piccola, viaggiavamo in treno per andare al mare in Italia. I miei genitori mi avevano messo in una amaca per dormire, i grandi parlavano un po’ a bassa voce. Io ricordo un’aria di intensa preoccupazione. Parlavano di una guerra che probabilmente sarebbe arrivata a breve. Non comprendevo la parola guerra, ma mi è rimasta profondamente in mente questa atmosfera di incertezza e di minaccia incombente. La parola guerra l’avrei capita pochi mesi dopo.

Hai un suggerimento da dare a Arcoiris?

No, non saprei, mi pare che si continui a crescere e ad arricchirsi, ad avere nuove idee. Ecco forse sarebbe importante mantenere le caratteristiche originali che ho descritto all’inizio e che sono molto belle e assolutamente non comuni.

[intervista raccolta da Patrizia M. il 5 novembre 2022]

1 Comments

  1. Cara Henriette, Doccio, il piccolo paese in Piemonte da cui veniva tuo nonno, dista solo 19 chilometri dal mio paesino, Asei… siamo quasi parenti!! 😄
    E anche ad Asei la professione di decoratore era molto comune, e molti si trasferirono a lavorare in Svizzera, soprattutto a Ginevra, e in Francia, soprattutto a Lione.
    Un abbraccio 🤗

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