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Ancora qualche ricordo puerile. Frascati: 1939 – 1943


numero 11 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk – ottobre 2020


la famiglia Todini nel 1940

Perché a Frascati; e in dieci? Correva il XIX (diciannovesimo, o chissà quale) dell’Era Fascista. Noi eravamo in nove (sette i figli ormai) e a Castel Madama le famiglie che vivevano di campagna se la passavano male e, anche se si recavano dal sarto, poi facevano segnare, cioè non pagavano. Mia madre, che teneva le redini della baracca, ispirata chissà da chi, fu certa che a Frascati per i sarti era altro che il paese di Bengodi. Fatto sta che lei ebbe il trasferimento da Castello a Frascati e tutti noi ci trasferimmo colà con l’aggiunta di un lavorante che aiutasse mio padre, non si sa mai. A Frascati dopo sei mesi di lavori per mio padre nemmeno l’ombra; perciò il lavoratore aggiunto dovette imboccare la triste via del ritorno.

il papà di Gualtiero sotto le armi

A Frascati io e Angelo frequentavamo l’asilo dalle Suore Cappellone (quel cappello a tubo orizzontale con due falde svolazzanti). Consegnato dalla mamma, le suore ci propinavano l’olio di fegato di merluzzo, pestilenziale mi ricordo. Non solo: suor Marta ci faceva anche un’iniezione ricostituente (si sa: scarsa nutrizione da guerra); ci metteva ognuno su un baule (o un sofà, non ricordo) e zac! Rapidi entravano l’ago e il liquido piuttosto urticante. Sarà per questo, sarà per l’ansia dell’attesa che l’ago entrasse, fatto sta che mio fratello Angelo quel giorno fece  una scorreggina, proprio piccola,  e suor Marta, sorridente e bonaria, commentò: “ah, bravo sporcaccione!”.

foto col nonno, che all’epoca regalava VNA lira ai nipotini!

Insieme ai dodicimila abitanti, la ridente cittadina dei Castelli ospitava il Comando Generale dei tedeschi di stanza a Roma; molti tedeschi animavano le vie e il loro astruso parlare colpiva la nostra immaginazione. Fu così che un giorno di festa io e Angelo, percorrendo il cammino che ci avrebbe condotto all’oratorio di Capo Croce, un po’ pavoneggianti nelle nostre culottine di velluto nero, abbottonate a camicette bianche di stoffa fine (di seta o chi lo sa), duettavamo in tedesco, incuranti dell’effetto (comico o rancoroso, sorpreso e incuriosito), su sbigottiti passanti.

Era l’ottobre del 1940 quando fui iscritto per frequentare la prima classe delle elementari (la primina si chiamava allora). Io ormai sempre più spesso prendevo la penna con la sinistra e i bastoncini e le vocali mi riuscivano piuttosto bene (ancora oggi la mia scrittura è invidiata); ma, appena la maestra se ne accorgeva, mi chiamava alla cattedra, scendeva e mi bacchettava la colpevole mano mancina. E’ vero che al mio paese natìo dicevano che sette mancini ‘n furo bboni a ammazzà ‘na crapa, ma Frascati era una cittadina e quella era una maestra!

la bella mamma Olga da ragazza

Ma quella era La Didattica Corrente; quel gesto serviva da ammonimento per altri aspiranti mancini; eppoi se lo poteva permettere senza tanti complimenti, perché la maestra era mia madre … Eppoi a quei tempi non c’erano genitori che protestavano per le bacchettate sulle mani dei figli. Anzi mia madre raccontava che una volta a Castel Madama mandò a chiamare il padre di un bambino indolente e dispettoso; il quale, più volte fatto chiamare dal bidello, non si fece mai vivo, ma alla fine venne la madre del discoletto, che alla maestra disse perentoria: “Signora maé, maritimu lavora e ju stipendio pe’ tené a bada fijmu lo pijete vu’ “; e aggiunse che, se il figlio si meritava qualche schiaffo, non ci pensasse due volte …

Gualtiero

2 Comments

  1. Che meraviglia leggere i tuoi racconti dell’infanzia Gualtiero caro. Ancora più bello vedere le foto della tua famiglia, anche se ne conosco e ne ho conosciuto una gran parte, ho scoperto essere più che fotogenica. Che bella mamma hai avuto Gualtiero, ma anche il papà non era male. Racconti di bacchettate, ora dobbiamo essere più che accorti non solo con le parole, ma anche con gli sguardi a scuola.
    Caterina

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