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Il mare d’inverno, ovvero in febbraio ai cancelli

Marina Conti

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Mi monto la testa? Me la monto! E allora vi dico che gli effetti speciali con cui a Castelporziano Massimo e Caterina introducono la passeggiata di domenica 16 febbraio 2020, facendoci ascoltare il brano della Berté, sono dedicati a me. Non ci credete? Definizione: “Ispirò a Enrico Ruggeri la canzone Il mare d’inverno”. 7 lettere.

Ma oggi è tutt’altro che “un film in bianco e nero”. È una gran giornata tutta di luce e d’azzurro. Una giornata che forse sconteremo a primavera inoltrata, con il colpo di coda di un inverno finora latitante. Ma tant’è, intanto prendiamoci il buono che ci capita!

A cominciare dal caffè, senza il quale la truppa di Arcoiris non si mette in moto. Così, parcheggiate le auto al cancello due, il nutrito gruppo (ben 35 persone!) si dirige al bar del cancello 4, cioè da quegli stessi che, respingendoci a pranzo quando Caterina tentò di prenotare, perché non abbastanza convenienti come clienti, hanno fatto sfumare miseramente la prospettiva degli spaghetti alle vongole, cui avevamo già fatto la bocca. Ma noi non serbiamo rancore e ci beviamo il caffè.

Il trekk si svolge dal cancello 1 fino quasi all’oasi naturista di Capocotta (e viceversa, direbbe Gabbani). Ci fermiamo un po’ prima, all’altezza del “Settimo cielo”, dove Mustafà d’estate fitta ombrelloni e lettini su una stretta striscia di sabbia, che ora si presenta insolitamente cresciuta rispetto alla stagione passata.

Nei mesi trascorsi il mare ha sospinto sulla sabbia tronchi e rami levigati dal vento e dalla salsedine, che qua e là creano sculture suggestive. E conchiglie a migliaia, che bisogna resistere per non portarsele a casa. E la solita plastica. Che, a ben guardare, non è la solita plastica. Sì, ci sono ciabatte rotte, contenitori di detersivo, cassette di polistirolo. Ma i famigerati cotton-fioc – come mi sembra – stanno scomparendo, mentre numerosi sono quei dischetti retinati del diametro di quattro/cinque centimetri, che si dice siano i filtri del depuratore di Foce Sele, che, per la rottura di una vasca due anni fa, hanno invaso una fascia di Tirreno estesa fino a Grosseto. Magari non sono proprio quelli ma conseguenza di manutenzioni malfatte più prossime a noi. L’encomiabile Antonietta, come ci ha abituati a vedere da anni, raccoglie tutta la plastica che può, utilizzando come contenitore un cestino verde trovato anch’esso sulla battigia. E dovrà portarsela a casa per smaltirla correttamente.

Perché qui, per tutto il lungo periodo dal 1° novembre al 30 aprile, non è offerto alcun tipo di servizio, men che meno la raccolta dell’immondizia. Eppure, basterebbe poco: l’apertura a rotazione di un solo edificio di quelli destinati a bagni (e si eviterebbe tutta quella fioritura di fazzolettini, e non solo, sulle dune e nei cespugli), poche postazioni di cassonetti per la raccolta differenziata, un minimo di vigilanza. Ma questo è un lungo discorso, che, allargato all’apertura estiva, andrebbe affrontato da voci più autorevoli e nelle sedi opportune. E, anche lì, risolvibile con costi minimi e soddisfazione massima degli utenti … Ma torniamo alla passeggiata di Arcoiris!

Il cammino, come di nostra abitudine, è scandito da letture scelte con cura e interpretate con grazia: Rodari, Hikmet, Busetta.

L’andatura è rilassata, le chiacchiere ora con l’uno ora con l’altro; i gruppetti si formano, si disfano e si rimescolano di continuo.

Con l’avanzare dell’ora, sulla spiaggia arrivano altri appassionati di sole e mare: joggers, famiglie con bambini, coppie di varia età. E cani.

Ben presto è l’ora del pranzo. Ma va detto, a onor del vero, che lungo il cammino è stato tutto uno sgranocchiare biscotti e frutta secca, per tacer dei tarallucci al vino preparati per noi da Lucilla.

Dunque, il pranzo. Stendiamo chi un plaid (quelli più british), chi la mantella (quelli che non disfano mai lo zaino, pronti ad ogni evenienza), chi il telo di microfibra (quelli più up to date) e siamo davvero colorati e belli. “Visti da lontano”, dice qualcuno.

Per dovere di cronaca sono costretta a riferire della sciagurata dipendenza di Silvia, purtroppo ormai anche spacciatrice. Così, dopo pranzo, tartufi, boeri e tavolette di nocciolato escono dalle sue tasche e dallo zainetto. E noi, da amici veri, siamo costretti a mangiarne. Per farne mangiare di meno a lei. Non è la prima volta. E speriamo che non sia l’ultima.

Indugiamo ancora sdraiati al sole (torneremo a casa anche un po’ abbronzati) e poi alla spicciolata gli equipaggi delle varie automobili prendono la via del ritorno.

Rimandata di un anno, l’escursione è stata all’altezza della lunga attesa. Grazie a Caterina! Del tempo che ha dedicato alla preparazione della passeggiata, alla selezione dei brani letti, alla redazione della poesia dedicata ai “cancelli”.

Come ha esordito Caterina stamattina, siamo tutti romani, di nascita o di adozione, e credo che per molti dei presenti la passeggiata odierna sia stata l’occasione per ricordare eventi e persone della nostra infanzia, in quei lontani meravigliosi anni ’60 ai “cancelli”. Mi ricordo. La nostra seicento bianca, il pallone, le bocce, il salvagente, le cuffie colorate di gomma, la fanta, le altalene – altissime! – e la radio a transistor, la pizza bianca dell’ente comunale di consumo, la sdraio e il tavolino pieghevole, il venditore di cocco bello, l’ombrellone con la capannina, la parmigiana di melanzane, le tamburelle, il giro al largo con la motonave, l’aereo con lo striscione, che lanciava piccoli paracadute pubblicitari. Mai riuscita ad afferrarne uno.

Marina M.

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