Resoconti

Gre, gre di ranelle

Redazione

lbaldini

Sabato 26 e Domenica 27 maggio – Le valli di Comacchio. Sui sentieri del parco del delta del Po.

Previsioni? Non buone, già per sabato. Ore di viaggio in macchina? Sei o sette, diceva qualcuno. E, perciò, adesioni? Poche: dodici (con qualche rinuncia a poche ore dalla partenza). Dunque, eravamo dodici, una coraggiosa, linda dozzina. Per le dieci della sera (si fa per dire) eravamo arrivati tutti all’ Hostel Pomposa: un ostello della gioventù tutto per noi, persone più appropriate a fare le comparse nel bel libro “De senectute” di un certo Marco Tullio, nato ad Arpino (106 a.C.). In attesa degli altri, ho fatto una passeggiata con Lucilla, Elsa e Luciano intorno all’ostello e tutt’intorno c’erano brevi “gre, gre di ranelle” (Marì, bèccate questo dolcissimo emistichio pascoliano!)
Cominciamo a mangiare verso le dieci e un quarto, quando per uno come me è l’ora del sonno: avevo tanta di quella fame che mi sarei mangiato l’acqua (per dire che ero idrofobo). Durante la ricca cena ci siamo raccontati chi le peripezie e chi le peripenonne (avendo fatto più sbagli) del viaggio, che comunque è stato per tutti di cinque ore circa. Nei racconti c’è chi, a un certo punto, ha tirato fuori la strada “Pompea”, facendo un po’ di confusione fra l’Abbazia di Pomposa e la strada Romea. Chi è stato? Non lo dirò e non perché non voglio fare la spia (io sono uno spione nato), ma perché non me lo ricordo.
Camere da letto spaziose da quattro (Luciano, Lucilla, Elsa, Gualtiero – Eugenio, Marina, Katharina, Nadia, alla quale tutti noi partecipanti “baciamo le mani” per il bel regalo che ci ha fatto) e  da due (Flavio ed Emma – Rocco e Maria Angela, quest’ultimi due l’appendice “arcosirente”).
Ricca l’indomani anche la colazione, alle otto e mezza, e poi in auto a Comacchio-paese, che – fra canali,  barchette e rematori –  ti ricorda Venezia (“ti” per modo di dire, cara Marina, dato che non c’eri a Comacchio e, mi pare, manco a Venezia). “Comacchio che cosa ha di notevole?”, mi chiederai. Canali e barchette: già detto; aggiungi: stradine strette e linde con al margine una striscia di pietra, che le distingue dall’acqua; la visibilità della striscia è fondamentale,  perché se la superi ti ritrovi nel canale (raccontano che qualcuno ogni tanto ci finisce, specie chi frequenta la scuola-guida). Aggiungi i famosissimi “Tre Ponti” del 1634 (Enciclopedia Zanichelli 2005) e la COOP, dove abbiamo fatto la spesa per i pranzi al sacco e fatto razzia di prodotti antizanzare, per nebulizzare i nostri corpi e le pareti delle camere con odori al cocco, alla mela e al cioccolato (diavolerie del nuovo secolo, a me sempre più “alieno”). Poi dalle undici all’una in giro col battello fra le Valli di Comacchio, visitando le vecchie stazioni di pesca, “I Casoni di Valle”, riportati all’antico impianto originale: qui abbiamo fatto conoscenza della barca “Marotta”, di cui forse tu, che ne porti il cognome, avrai avuto contezza (eh, eh!) prima di noi. Nel pomeriggio visita al Museo, dove arnesi e documentari ci hanno illustrato la “lavorazione” delle anguille (essere “lavorato” così non lo auguro nemmeno al mio peggior nemico: decapitato, fatto a pezzi, infilato a uno spiedo, per essere affumicato).
Nel pomeriggio siamo tornati nel cuore delle Valli per una lunga passeggiata (circa otto km) alla volta del Casone Donnabona: si trattava di un “casone chiuso”, ma senza donna alcuna. Della cena, tutta a base di pesce (antipasti, tagliolini, orate, spigole e anguille alla griglia), di come alcune persone si siano strafogate e di quanto pesce sia avanzato, nulla ti dirò. Elsa, tuttavia, nel “discutere” i conti con il gestore, ha fatto presente che i 30 euro della cena le erano sembrati un po’ troppi; gli altri (non io che con tanti euro ci campo una settimana) hanno detto in coro che in ristorante una cena così non ti costava meno di 50-60 euro: poi c’è chi dice che l’Italia è affaticata!
Domenica mattina c’è stata una lunga, accurata visita guidata dell’Abbazia di Pomposa, al cui paragone le visite che guido io sembrano fatte a “volo d’uccello”. A proposito, non ti dico lo splendore dei voli acrobatici eseguiti dagli Aironi e dai Fenicotteri (quei luminosi corpi arancioni!) durante la gita in battello. Dopo la visita dell’abbazzia (o con una “zeta” sola?), abbiamo fatto un sentiero nel “Bosco di Mesola” fra carpini, lecci, farnie e qualche abete, sopravvissuto alla gelata dell’85.
Solo durante il viaggio di ritorno un temporale tremendo ci ha costretto a fermarci: ma Elsa, per evitarci la pioggia durante l’escursione, aveva profuso tutte le sue magnetiche energie.
Gualtiero

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