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Resoconto – Meditate che questo è stato

Marina Conti

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“Oggi non ci baciamo” sorride Paola ricordandoci che siamo nell’era del coronavirus mentre la piccola pattuglia di arcoirisiani incappucciati si guarda intorno perplessa…..

C’è movimento in Piazza 16 ottobre 1943, gente importante………. Arriva Lucia Annunziata, Antonio Di Bella, Piero Badaloni, Giuseppe Giulietti, arrivano telecamere e microfoni ……….arriva anche la Sindaca Virginia Raggi…..  Arriva anche una panchina bianca con una striscia verde e una rossa.  E’ per lei che sono tutti qui. Oggi verrà posta in piazza a ricordare i giornalisti e i tipografi catturati dai nazisti e mai più tornati.

La cerimonia ci costringe a spostare la nostra visita guidata alla mostra e a cambiare il nostro programma.

La giornata si presenta subito dura. Luciano con il suo tono pacato spara a alzo zero. La percentuale di italiani che nega la Shoah sale al 15,6%, nel 2004 era del 2,7% (Eurispes 2020).  E’ un dato inquietante.

Cominciamo così da Palazzo Caffarelli dalla cui terrazza si gode uno dei panorami più belli e famosi della città e si può prendere un buon caffè (e sempre da lì dobbiamo partire ….). Il palazzo fu salvato dalla demolizione negli anni venti e ristrutturato per ospitare un Nuovo Museo di Arte Antica e dedicato a Benito Mussolini.  Fu risistemato anche il giardino e doveva essere bellissimo visto che vi si tenevano eventi importanti e ricevimenti ufficiali come quello in onore del maestro Arturo Toscanini, nel maggio del 1930, tanto per citarne uno.  Guardando questo bellissimo panorama e con la parte più bella della città ai nostri piedi affrontiamo l’argomento doloroso delle leggi razziali emanate nel 1938. Nell’epoca in cui lavorare per il Comune di Roma significava appartenere ad una aristocrazia della Pubblica Amministrazione, furono 54 i dipendenti ebrei allontanati dal loro impiego fra cui dirigenti con doppie lauree e stimate competenze, come il segretario principale del Comune Bixio Pergola ricordato in una targa in Via Tempio di Giove. Continuando a scendere dal Campidoglio facciamo una sosta per ricordare una bella e commovente storia vissuta dal fratello del nostro Fernando. Durante un allagamento dei magazzini sotterranei dell’Istituto di Cultura di Salonicco, dove lavorava a quel tempo, e nel tentativo di salvare più documenti possibile, Antonio Crescenzi si trova fra le mani delle carte che lo colpiscono…. . sono temi, pagelle, registri di classe e diplomi non consegnati. Perchè? Cosa è successo? Sono pagelle e diplomi di ragazzi ebrei che non li hanno ritirati. Hanno dovuto lasciare la scuola per difendersi? Nascondersi? Che ne è stato di loro? Con pazienza e determinazione si impegna a cercarli per anni e a ricostruire le loro storie. In parte ci riesce.  Posso immaginare la grandissima commozione quando ha potuto consegnare quei ricordi preziosi, ben sett’antanni dopo, ai discendenti di famiglie che hanno potuto conservare ben poche cose della loro storia. “Il diploma che mi avete consegnato è l’unico documento che posseggo della famiglia di mio padre” racconta un uomo durante l’intensa cerimonia di consegna dei diplomi presi da quei ragazzi negli anni ’30 e 40.  Scendendo ancora ci fermiamo alla pietra d’inciampo a Via dei Fienili 66. Ci aspetta un’altra storia. Quella di Pacifico Livoli, morto a diciassette anni ad Auschwitz. Era andato a Ottaviano a vendere elastico e spille da balia. Un banchetto in una cassetta di frutta. Poche cose con cui sua madre cercava di crescere i suoi sette figli. Una vita difficile senza neanche un tetto sulla testa. Suo fratello racconta che dormivano alle Terme di Traiano o alla camera mortuaria del San Camillo e la mattina presto se ne andavano. L’ha riconosciuto un commesso, ex compagno di lavoro, e l’ha indicato ai fascisti che erano lì. Quando arriviamo in piazza, la panchina ha trovato il suo posto e con il suo colore bianco splende nella piazza come una luce. Impossibile non vederla e forse è stata una scelta. Quel che si è visto, quello che non si è visto, quello che non si è voluto vedere in quel tempo terribile è ancora oggi oggetto di analisi e discussioni e non trova risposte convincenti e definitive. Cercheremo risposte sicuramente anche negli archivi del pontificato di Pio XII che, coincidenza, si apriranno domani 2 marzo.

Nella nostra visita alla mostra, che racconta come i bambini siano stati le principali vittime dello sterminio, ci accompagna il signor Terracina che per prima cosa ci chiarisce una questione linguistica per niente sottile. Nell’ultimo decennio il termine Shoah, più legato all’idea di distruzione, viene preferito al termine Olocausto più legato al concetto di sacrificio.  Ci racconta poi di suo padre, venduto dal suo barbiere ai nazisti per cinque mila lire e di sua madre salvata dalla portiera che, alla vista della camionetta, se la prende sottobraccio e indica l’appartamento vuoto ai tedeschi. Ammiro la sua forza nel raccontare queste cose così personali e dolorose. La visita è così difficile e intensa che, ad un certo punto del percorso, ci avvisa che dovrà dire cose che possono turbare, chiede il consenso di poterlo fare e lascia liberi di allontanarsi quelli che non se la sentono di ascoltare.

Lasciamo la mostra con gli occhi lucidi e i volti turbati e quando ci fermiamo a mangiare un panino al freddo, vicino alla fontana a Piazza delle Cinque Scole, l’atmosfera è silenziosa. Per fortuna Paola e Luciano capiscono che abbiamo bisogno di consolarci e ci portano quelle famosissime crostate che prepara il forno del Ghetto: ricotta e cioccolata e ricotta e visciole. Dopo un buon caffè ci sentiamo pronti a riprendere un altro pezzo del nostro giro. Camminiamo fino a Via della Madonna dei Monti per fermarci davanti a 20 pietre di inciampo – forse il gruppo più grande a Roma. Ricordano venti persone – tutti abitanti di quel palazzo e imparentati fra loro – che vennero arrestate insieme. Portarono via anche un bimbo di diciotto giorni. Tutti rimasti uccisi.  Alcuni non si sa dove e come. Scomparsi da quel 21 marzo 1944. Non possiamo trattenere l’indignazione ricordando che nel dicembre 2018 le pietre in ricordo di questa grande famiglia sono state divelte e portate via da persone (ma sono questi uomini?) animate dallo stesso spirito assassino e razzista che ha spinto i nazi-fascisti di allora. E come averle nuovamente tormentate e ammazzate nei lager. Nel quartiere Monti c’è anche una targa importante e qui facciamo la nostra ultima sosta. Ricorda lo sterminio di rom e sinti.  Uno sterminio dimenticato che è stato un vero e proprio “porrajmos” che in lingua rom significa divoramento e distruzione, tanto per tornare al signor Terracina e alla scelta del termine Shoah. Una targa messa “solo” nel 2003 a Via degli Zingari che prende il nome dal fatto all’epoca vivevano in questa zona. “Solo” nel 2003, dopo sessant’anni di indifferenza, la federazione dei pugili professionisti tedeschi ha restituito agli eredi la cintura di campione del pugile zingaro “Rukelie” Trollman la cui carriera sportiva e la cui vita furono stroncate dalla furia nazista. L’indifferenza. Può essere un peccato mortale.

Ci lasciamo qui davanti alla targa tardiva che, insieme ai dati Eurispes, è un monito su quanto ancora dobbiamo e possiamo fare.

“Un popolo che dimentica i suoi errori è destinato a ripeterli” non dimentichiamo mai ciò che è stato e non facciamo mai dimenticare che qui è già stato.

Rossella

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