Resoconti

Tra una… tancia e l’altra

Redazione

lbaldini

Domenica 5 dicembre E – I boschi e i dolci panorami della Sabina.

Tra una… tancia e l’altra
Bandolo alle ciance, come diceva quel mio amico contadino, che parlava fino, perché si
supponeva colto: Arcoiris non è certo un’accozzaglia di gente che mena il can per l’aria,
come diceva quell’ altro. Noi siamo vivi e vegetali, siamo un’Associazione del “fare”, come
il nostro governo. La volta scorsa al Museo, stavolta tra la neve delle pendici del Tancia!
La neve: già sotto ai mille metri ne è comparso un soffice, leggero strato, che poi a
raggiunto gli otto-dieci centimetri, man mano che si saliva alla zinna (dal tedesco:
“zinnen”).
Breve discussione fra i 15 partecipanti, se si dovesse pranzare alla vetta, sotto la
croce, o prima riscendere; vince la prima opinione; ma arrivati lassù, il panorama era non
piusultra, come dice quel mio amico, ma il freddo, che a qualcuno stava provocando un
certo mal di tancia, ci si portava via: perciò, tutti d’accordo, siamo ridiscesi, trovando più in
basso un angolino assolato e senza vento. Abbiamo “squadernato” (per restare su un
registro intellettuale) i nostri panini, le nostre banane, le nostre mele… Un momento: c’è
chi (e non farò il nome di Andreas) ha sfoderato coltello e porchetta, per chiudere, dulcis in
fundo, con un marzapane “compresso”, che ogni fettina pesava qualche etto.
Ma noi non siamo soltanto gente che gozzoviglia, anche se un po’ lo siamo; siamo
anche persone che guardano e ammirano il panorama, che era così distribuito: ponendoci
sulla cresta, a sinistra il Terminillo, che era così bianco che tutti ci chiedevamo come mai:
sulla destra, in fondo in fondo, il lago di Bracciano, e poi rami del Tevere; il tutto sotto un
cielo terso; di sicuro, Elsa – che iddio la benedica – seppure assente, intercedeva per noi.
Prima ho usato il termine “sfoderato”: bene, la parola aveva suscitato una discussione
linguistica di altissimo livello. Kathy (ricordatevi che è una “alemanna”!) sosteneva che la
fodera è una cosa che sta all’interno di un vestito, di un giubbotto, insomma una cosa che
sta “dentro”; io a spiegargli che “foderare” significa “ricoprire”, “avvolgere” e che, quando
eravamo piccoli studenti, le mamme ci “foderavano” quaderni e libri, che noi
immancabilmente imbrattavamo con le briciole del “pane all’olio”. Lei ha detto che avrebbe
consultato i suoi cinque vocabolari linguistici: e poi ti chiedi perché i tedeschi viaggiano a
3,5 di pil, mentre noi arranchiamo sotto l’uno per cento!
Dicevo prima della discesa, per trovare un angolo riparato dal vento: bene, quei primi
venti minuti di discesa sono stati laboriosi, perché c’erano delle roccette strette e
longitudinali rispetto al piede che scendeva, acuminate e in parte ricoperte di neve, sicché
qualcuno e qualcuna si sono trovati a disagio; una di noi, in particolare, ci camminava
sopra, quasi che le rocce fossero strati di uova fresche.
Fatto un anello, siamo tornati dove avevamo lasciato le macchine: bacia questo, bacia
quella, siamo saliti ognuno sulla sua auto, ma poi ci siamo ritrovati in un agriturismo più
sotto di un centinaio di metri, dove oltre a caffè, tisane, tè e caffellatte, abbiamo spazzolato
un canestro di variegate ciambelline: all’anice, al vino, semplici acqua e farina. E Kathy,
magari, andrà sul vocabolario a vedere “spazzolare”. Ciaoooooooooo

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