racconti dalla quarantena

Ti conosco, mascherina!

Redazione

lbaldini


racconti dalla quarantena: resoconti di giornate fra cucina e soggiorno percorrendo viaggi fantastici o meno.


Roma, 5 maggio 2020

Da oggi, 4 maggio, siamo entrati nella fase 2, cioè la fase 1 con le maniche corte. Ce lo hanno detto in tutte le salse: non è il “liberi tutti!”; da come ci comporteremo nelle prossime due settimane dipenderà l’eventuale allentamento successivo.
E allora, se devo restare ancora a casa, mi devo trovare un nuovo passatempo. Di faccende domestiche mi sono stancata. E, comunque, adesso aspetto che finisca la stagionale stramaledetta polverina gialla dei pini per pulire di nuovo tutte le ringhiere, serrande, soglie, finestre che avevo lucidato durante il primo momento, quello della casalinga disperata.

Sciarpe ne ho fatte quattro, di lunghezza crescente, e mo’ basta.

Pizzaiola non sono e, comunque, il lievito di birra continua a mancare sugli scaffali del nostro supermercato. Ma si può?

Dolce ne ho fatto uno solo, una magnifica torta di pere in coproduzione familiare. Ma i dolci hanno il difetto di farsi mangiare. Perciò, uno basta e avanza. Soprattutto se l’attività fisica è prossima allo zero. Il mio telefonino, abituato a contare tredici, quindicimila passi al giorno, comincia a preoccuparsi: “solo 67 passi?” mi chiede.

Quindi, mi sono data al confezionamento artigianale di mascherine. Dunque, la faccenda delle mascherine mi è sembrata molto contorta fin dall’inizio. Due sole certezze: 1) l’Italia non ne è abituale produttore; 2) sono indispensabili per personale sanitario e pazienti, nonché molto utili per tutte quelle categorie che sono dovute uscire di casa perché dal loro lavoro dipendeva il nostro poterci rimanere. Tutta la polemica nata sui milioni di mascherine promesse da settimane, su chi le deve distribuire, quanto devono costare, tutte le truffe vere o presunte (pure l’ex Presidente della Camera è ricicciata?), si sarebbe molto ridimensionata se qualcuno di autorevole (ISS, OMS, Ministero della Salute, almeno due virologi in sintonia fra loro) avesse detto che per il 90% dei cittadini andava benissimo una sciarpa, foulard, bandana, da lavare dopo l’uso. Considerando che quel 90% di cittadini aveva ben pochi motivi ed occasioni per esporsi al rischio di infettare ed essere infettato.

Perciò, a casa non ci siamo preoccupati affatto delle mascherine, della loro introvabilità, del prezzo. Abbiamo ovviato come su detto, nelle pochissime uscite fatte.

Quando è capitato che “il familiare delegato per la spesa” è dovuto andare in farmacia, ho suggerito, visto che doveva fare la fila, di chiedere un paio di mascherine. La farmacista di quartiere – nuova gestione – ne aveva un solo tipo, di cotone bianco, lavabili, che indossava lei stessa, «sia pure senza convinzione», come ha riferito “il familiare delegato”, che, poverino, temendo mie rimostranze, le ha, tuttavia, acquistate. Costo: € 7,90 cadauna. Due straccetti di tela con elastichetti, garantite in grado di sopportare 100 lavaggi a 60°: seh, voglio vedere gli elastichetti dopo un solo lavaggio a 60°! Prodotte da una cooperativa sociale di Verona. Siccome sono tignosa (chi ha letto “Ho litigato con Will” lo sa) e in questo periodo ho pure tanto tempo da perdere, vado su internet e trovo che la cooperativa in questione è stata finanziata, assieme ad altre 11, con 100 mila euro da Coopfond (della LegaCoop), per venire incontro all’urgenza del Paese etc. etc. A me pare che, con quel prezzo, siano venuti soprattutto incontro alla loro, di urgenza. Perché, dopo qualche giorno si attrezzano per venderle online e posso verificare che il ricarico del farmacista è di solo (!) 1,90 € a mascherina, Magda!

Confezionate in bustine di plastica trasparente, sono accompagnate da un foglietto che recita tutto ciò che la mascherina NON è, NON fa, NON ha: “NON è un dispositivo di protezione individuale, NON è un dispositivo medico, NON è una mascherina chirurgica, NON protegge in alcun modo le vie respiratorie di chi la indossa, NON offre una protezione efficace contro i patogeni, NON ha il marchio CE”.

Vabbè, mo’ le abbiamo comprate e ce le teniamo care care. Lavaggio a mano, ovviamente! Ma siamo sempre più convinti che l’isolamento e la distanza fisica siano la migliore difesa e perciò non ci preoccupiamo di cercare le introvabili FFP3, che, comunque, hanno una serie di controindicazioni, soprattutto andando verso la stagione calda, come mi conferma la condomina del secondo piano, che la usa per andare a lavoro (nella segreteria di una scuola, attualmente alle prese con la consegna dei devices – ha detto proprio così – agli studenti).

Allora, visto che dovremo usarle a lungo, soprattutto quando si allenteranno ulteriormente le restrizioni e anche noi ci incoraggeremo ad uscire, ho ritenuto che potesse essere simpatico avere delle mascherine di vari colori per alleggerire la pesantezza della situazione. Avendo il modello, non è stato difficile. Inoltre, le ho potute fare su misura, risolvendo il problema dell’aderenza laterale, che possono avere quelle di misura unica. Certo, con la macchina per cucire avrei fatto molto prima ma io ce l’ho al paese, che da pochi giorni non è più zona rossa ma è, tuttavia, fuori regione.

Dunque, il presupposto per dedicarsi al bricolage, secondo la mia regola, è usare ciò che si ha in casa. Per coerenza con il credo delle 4 R (ridurre, riutilizzare, recuperare, riciclare), perché è troppo facile farsi portare dal corriere stoffa, elastico etc. e soprattutto perché proprio quel pezzetto di stoffa, proprio quell’elastico, oltre che unico, è un tuo (mio) ricordo. Inoltre, a casa mia vige il principio “stipa, ca truovi!”, cioè, come diciamo noi nel basso Alto Adige, “Conserva, che [quando ti servirà] troverai!”.

Dunque, per la prima mascherina che ho realizzato ho usato una tela madras appartenuta ad una tunichetta di Fiorucci, comprata nei primi anni ’80 al Mas, in un’epoca in cui era già iniziata la parabola discendente dei Magazzini allo Statuto ma non si era ancora compiuto lo sfacelo. Indossata finché non si è lacerata (era bellissima!), poi declassata a straccio per la polvere (recuperare) ed ora promossa a mascherina (riciclare). E gli elastici, chiederete voi? Beh, quelli ancora più antichi. Sempre Mas ma fine anni ’60 (periodo d’oro dei Magazzini), comprati da mamma (che aveva una passione per la merceria) per i pigiamini che ci confezionava con la Singer di cui sopra. Ovviamente, sono spolette di elastico piatto nuove, che hanno conservato una straordinaria elasticità (le buone cose di una volta, signora mia …). In qualche caso ne erano rimasti solo pezzetti, sempre nuovi e di lunghezza sufficiente allo scopo. Avete presente la mamma del compianto Bellavista, che aveva la scatola di “spaghi troppo corti per essere usati”? Beh, De Crescenzo era un ingegnere, e non poteva capire…

Soddisfatta del risultato. Ho anche fatto in modo che sulla tempia destra capitasse la targhetta con la griffe. Vedrai come mi copieranno Vèrsace e Dolce & Gabbani, sfornando mascherine con stampe di meduse e carretti siciliani!

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Continuo. E metto in produzione una coppia di mascherine, per quando potremo uscire in due. Stavolta la stoffa, una fantasia coloratissima, è quella di un divano. Ne avevamo comprati due uguali, primi anni ’80 anche questi, da un mobiliere verso Frattocchie, ancora mi ricordo quel pomeriggio luminoso. Dopo anni di onorato servizio, uno dei due divani, ancora in ottimo stato, è stato regalato a delle studentesse che vivono in affitto; l’altro è stato smontato e se ne sono conservate le parti utili (tavole di legno e stoffa).Con la stoffa ho realizzato proprio in questi giorni due vestitini per gli amplificatori(de-li-zio-si!) e, appunto, le mascherine.

Come dice quel nostro poeta che ci ha lasciato troppo presto:
«Vedi caro amico cosa si deve inventare
Per poter riderci sopra
Per continuare a sperare».

Ancora più entusiasta del risultato, altra coppia, ancora più vintage. Stavolta, proprio antiquariato. Un pezzo di tovaglia a quadri (ricavato da un ridimensionamento per uso su tavolo più piccolo), con tanto di orlo a punto a giorno fatto a mano da mia nonna chissà quando. Ho fatto in modo che l’orlo capitasse nel lato lungo superiore, perché fosse ben visibile ad occhi competenti il ricamo a mano. Queste potremo utilizzarle quando saranno consentiti i picnic.

Sto pensando di mettermi in grande e di proporre alla moglie di Aldo, il nostro salumiere, la quale ha una piccola sartoria per orli e riparazioni, di creare una joint venture e produrre mascherine trendy, altro che quelle di Fendi e Gucci. Se realizzate con la stoffa del cliente, meglio se d’epoca, sarebbero dei veri pezzi unici!


In ogni caso, se saremo stati bravi ce le toglieremo fra non molto e non sarà di noi quello che è toccato all’altro poeta:
«Quando ho voluto togliermi la maschera,
era incollata alla faccia.
Quando l’ho tolta e mi sono guardato allo specchio,
ero già invecchiato»
(Fernando Pessoa)

Ecco, quantunque eleganti e, nel mio caso, inconfutabilmente uniche, cerchiamo di togliercele presto! Mica vogliamo fare la fine di Myss Keta!

Marina M.

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