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La pelle dell’orso


numero 8 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk – aprile 2020


locandina del film

In questi giorni di isolamento necessario anche gli orari sono tutti sfasati e ciò consente talvolta scoperte interessanti. Ad esempio, su Rai5 in tarda serata può capitare di vedere un piccolo film italiano recente (2016), nato da un’idea intelligente, prodotto in economia, con la presenza inaspettata di attori di vaglia.

Il titolo è La pelle dell’orso, primo lungometraggio di Marco Segato, regista pressoché sconosciuto (nemmeno la voce su Wikipedia), formatosi all’Università di Padova ed espressosi finora solo attraverso documentari e regie teatrali.

copertina del libro

Il soggetto è tratto dal libro di analogo titolo, un romanzo di formazione scritto da Matteo Righetto, docente di Letteratura Ambientale e del Paesaggio a Padova nonché ricercatore per la European Association for the Study of Literature, Culture and Environment e membro del comitato etico-scientifico di Mountain Wilderness (dove siede in compagnia di Paolo Cognetti, Michele Serra, Erri De Luca, Vittorio Emiliani, oltre a un gran numero di docenti universitari di varie discipline, tutti amanti della montagna). La sceneggiatura è stata scritta con Marco Paolini, che veste anche i panni del protagonista.

una scena del film

Ambientata negli anni ’50 in un paesino sui monti del Cadore, è la storia della ricostituzione del rapporto fra un padre ed un figlio sullo sfondo di una natura dura, a tratti spietatamente ostile. Il padre, Pietro Sieff, ubriacone uscito da poco dal carcere, disprezzato dai paesani, lavora in una cava di pietra. Vedovo (la moglie è annegata in un lago quando il bambino era piccolo), taciturno e brusco anche con il tredicenne Domenico, cerca il suo riscatto, morale prima che economico, accettando la pericolosa scommessa lanciata dal padrone della cava, Crepaz (Paolo Pierobon): 600.000 lire, la paga di un anno, se riuscirà ad uccidere el Diàol, il Diavolo, vecchio orso che terrorizza le fattorie sgozzando il bestiame; se non ce la farà, Pietro dovrà lavorare un anno gratis. Così, di primo mattino prepara il suo tascapane e si avvia verso la montagna. Sarà lo zio ad informare il ragazzo e, di fronte alla sua determinazione a seguire il padre, a dargli un fucile. Anche per Domenico la caccia all’orso è un’occasione: cercare un rapporto col padre e dimostrare il coraggio necessario che, quasi in un rito di passaggio, farà di lui un giovane adulto e non più un bòcia. Poco più di un’apparizione Maria Paiato nel ruolo della zia, ma tanto basta a vedere in lei la grande attrice che quest’inverno abbiamo così apprezzato con Popolizio in Un nemico del popolo (sì, perché c’è stato un tempo in cui andavamo a teatro!).

È Sara, una singolare figura di prostituta di montagna (Lucia Mascino), a condurre Domenico dal padre e a donare al ragazzo un momento di dolcezza nel ricordo della mamma, sua amica da ragazza. Il violento scontro verbale fra Sara e Pietro, che in carcere ha scontato un delitto d’onore, costringerà Pietro a rivelare a Domenico che la mamma si suicidò subito dopo l’omicidio, gettandosi nel lago. Da quella rivelazione inizia il riavvicinamento fra i due, nel comune obiettivo di uccidere il Diavolo, Pietro per guadagnarsi il rispetto del paese e la stima del figlio, Domenico per dimostrare al padre di essere cresciuto e meritarne l’affetto.

Non vi dico come va a finire, anche se è secondario, ma vi invito senz’altro a reperire il film. Non sarà difficile, dal momento che Rai Cinema lo ha coprodotto, assieme al Mibact e alle Regioni Veneto e Lazio. A proposito, invece, dei finanziamenti privati, unica nota stonata del film la scena pretestuosa in cui Sara si mette un paio di occhiali Lozza e invita Domenico a provarli a sua volta: il solo scopo sembra la pubblicità al noto brand, che ha la sede non lontana dalla Valle di Zoldo, dove è stato girato il film. Diciamo che sa un po’ di pacchetto Marlboro in primo piano, come accadeva nei film degli anni settanta.

Silenzi ostinati, sguardi ruvidi, paesaggi scabri (mai il sole), una quotidianità parsimoniosa (scandita da una fotografia buia, anche un po’ troppo). Il tutto reso attraverso una regia sobria ma non priva di maestria (le scene con l’orso sono credibilissime), che ha meritato a Segato la candidatura al David di Donatello 2017 come regista esordiente.

processione della Gnaga

Ben più che uno sfondo alle vicende di Pietro e Domenico l’aspra natura in cui padre e figlio si muovono: essa condiziona profondamente la vita delle comunità soprattutto di montagna, come ci viene dichiarato fin dall’inizio del film, dove assistiamo alla processione della Gnaga, tipico corteo del Carnevale della Val di Zoldo, dove la maschera più impressionante è proprio l’Om salvadegh, il terribile “uomo del bosco”, con corpo animalesco e zanne sporgenti, con il quale i compaesani, a metà fra il disprezzo e il timore, identificano proprio Pietro, “la bestia”, per il quale nello svolgimento del film lo scontro con l’orso sarà solo una trasposizione della lotta contro la bestia che si porta dentro.

Marina M.

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