newsletter: Leggere fra le righe

“Il sentiero di campagna” di Martin Heidegger

numero 2 – Newsletter della Associazione Arcoiris – aprile 2019


Sei, sette pagine nemmeno piene: è tutto qui il breve scritto di Heidegger, che evoca il familiare sentiero che conduceva da Meßkirch a Ehnried, nella natìa Svevia meridionale.

Si può tranquillamente prescindere dalla conoscenza della complessa e controversa vicenda esistenziale e filosofica del pensatore (non mi cimento affatto!) e godersi la poeticità del breve testo, tenendo presenti solo poche nozioni: l’attaccamento del filosofo al paese natale, la passione per le passeggiate in campagna, il sapore fortemente simbolico che l’immagine del sentiero avrà nelle successive opere, ricorrendo fin dal titolo nei “Colloqui su un sentiero di campagna”, tre dialoghi di stampo platonico scritti nel biennio 1944-45, e nei sei “Sentieri erranti nella selva”, pubblicati nel 1950.

Il ricordo ripercorre lo snodarsi del viottolo, fra campi e boschi, fra il susseguirsi delle stagioni e dei lavori stagionali. La nostalgia suscita immagini e risveglia affetti: si evoca la pazienza del padre, mastro bottaio e sagrestano, e la cura silenziosa della mano materna, l’allodola mattutina e il vento dell’est, i solchi dei carri e le primule sul ciglio del campo, e tutto acquista senso perché prossimo al sentiero. Le tappe della vita sono evocate ora da una panchina all’ombra di una quercia, dove il giovane Martin si confrontava con i libri dei grandi pensatori, ora dalla corteccia di quercia nella quale Martin bambino intagliava barchette da sospingere nel ruscello. Ma quella quercia già allora, nella sua crescita lenta e costante, insegnava che “crescere significa: aprirsi alla vastità del cielo e, al tempo stesso, affondare le proprie radici nell’oscurità della terra; che tutto ciò che è solido fiorisce, solo quando l’uomo è, fino in fondo, l’uno e l’altra: predisposto a quanto gli è richiesto dal cielo più elevato e ben protetto nel rifugio della terra che tutto sorregge” (p. 17).

Nell’apparente semplicità di questo scritto si svela già un approdo importante del pensiero heideggeriano, che, superata l’adesione al nazionalsocialismo, coglieva il mortale connubio fra dominio della tecnica e totalitarismo, nel segno dell’efficienza del fare. Gli uomini dediti alla macchinazione (Machenschaft) cercano di sottomettere il mondo con l’energia atomica che hanno sottratto alla natura, “prigionieri del chiasso delle macchine” (quanta attualità!) e sordi alla “benevolenza” del sentiero, alla sua “mite violenza” che genera “saggia serenità”.

Come spiega il figlio Hermann nell’Avvertenza all’edizione tedesca del 1989, su cui si fonda quella italiana del 2002 (ediz. Il melangolo), oggi la città si è estesa e il sentiero è in buona parte asfaltato e circondato da case. Le belle fotografie in bianco e nero, opera di un amatore, che corredano il libretto, consentono di immaginare il sentiero quale lo vedeva Heidegger.

Per trovare la biblioteca più vicina che possiede il volume si veda sul Catalogo Unico Nazionale.

Marina M.

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