newsletter: Viva la curiosita

12 – A Castel Madama preti che litigano; e noi con loro (1947- 49)


numero 21 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk giugno 2022


Non ricordo l’anno: 1947? 1948? Arriva a Castel Madama un prete giovane, emiliano (perciò di una regione progressista, si sottolinea da chi la sa lunga), si chiama don Giuseppe: è pieno di iniziative, organizza l’oratorio per i giovani, mette su un gruppo di Boy Scouts, io e Angelo siamo lupetti, Enrico non me lo ricordo, Vittorio già ventenne, è uno dei capi; le divise degli “anziani”, come lui, si ottengono mettendo in varecchina … camicie nere e calzoni scuri (verdi, blu?), ma anche foulard azzurri, tutta roba fascista che non si butta via, ma che cambia colore, diventa caki. Ci prepariamo per sfilare a Roma, dove in centomila noi “araldi della fede” saremo di ammonimento al Blocco del Popolo, i socialcomunisti che vorrebbero annettere l’Italia all’impero sovietico, come afferma truce un manifesto dell’epoca.

Noi per le strade di Castel Madama cantavamo: “Passa la gioventù, mamme guardate: è vostro vanto questa primavera”, ma a Roma i centomila che sfilavano destavano una qualche preoccupazione in Pietro Nenni, che li indicava a De Gasperi dal loro ufficio di Palazzo Chigi, quali temuti rigurgiti di antiche adunate.

manifesto d’epoca

Ma don Giuseppe, questo prete moderno, non piace al parroco don Angelo, un monsignore molto tradizionalista, che teme per l’educazione di noi giovani, esposti a idee magari troppo progressiste, troppo poco cristiane: nell’orizzonte elettorale che si va profilando, è forte e conclamata la necessità di un “voto cristiano”.

Poi si sparge la voce che don Giuseppe intrattenga rapporti troppo amichevoli con alcune fedeli. È troppo per il mondo benpensante: su sollecitazione del parroco, interviene la Curia vescovile di Tivoli, che rimuove don Giuseppe da viceparroco di Castel Madama e lo confina in un piccolo paesino chiamato Vallinfreda, a noi giovani del tutto sconosciuto.

Queste vicende spaccano la gioventù del paese: i più piccoli, come me, Enrico e Angelo, parteggiavano per don Giuseppe, invece Vittorio e i suoi amici, già convinti paladini della difesa della cristianità dalle grinfie comuniste, stavano con don Angelo. In preordinati cortei noi gridavamo: “Viva don Giuseppe, abbasso la tremarella” (nomignolo con il quale chiamavamo don Angelo malato di Parkinson: generosità giovanile!).

A sostituire don Giuseppe arrivò don Carlo, che la Curia mandò per far dimenticare don Giuseppe, prete troppo intraprendente e un po’ troppo focoso. Infatti, gli esploratori furono sciolti e la sera all’oratorio don Carlo ci raccontava tante favole, storie di giovani di fede, che compivano ammirevoli azioni di altruismo cristiano, tutte “buone azioni” degne di imitazione per noi giovanissimi a volte troppo “birichini”, come diceva don Carlo calcando la “c”; ma diceva, don Carlo, anche “pampìni” per bambini: arbitrii linguistici che in me – palato esigente – suscitavano fin da allora una convinta riprovazione.

manifesto elettorale

Comunque, don Carlo si era affezionato a me e ad Angelo e, quando assiepati noi insieme a mobili e masserizie sul camion che ci avrebbe trasferito a Roma, venne a salutarci, ci disse: “Cari amici miei, tornate però ancora a Castel Madama, sarete sempre bene accolti”.

E noi tornammo a Castello, ma per fare i consiglieri comunali (io nel 1960, Angelo nel ’64) della lista socialcomunista “Vanga e Stella”, fieramente opposta alla Democrazia Cristiana. E certe volte bersaglio dei miei attacchi in consiglio comunale divenne anche don Carlo: ricordo una seduta, che all’ordine del giorno contemplava la donazione di 50.000 lire per la Festa di San Michele, patrono del paese, del 29 settembre, su richiesta di don Carlo, ormai diventato parroco. Nel mio intervento di opposizione, condito di giovanile sarcasmo che oggi ritengo piuttosto fuori posto, dissi che i castellani erano quasi tutti buoni cristiani e quindi avrebbero potuto fare – loro – copiose donazioni; e non il Comune che è “un’Istituzione laica” (!). E l’indomani il giornale “Il Tempo”, forse con qualche ragione, biasimò aspramente questa mia tirata, ritenendola ispirata da un marxismo anticlericale. Ma siamo al 1960, un’altra epoca, un’altra storia.

Intanto, per il nuovo anno scolastico 1949 ci trasferimmo a Roma. Ma perché questa … calata su Roma? Recarsi a Tivoli per studiare era troppo complicato: Enrico era vicino alla maturità, io facevo il ginnasio e Angelo ormai la terza media; le sorelle Maria e Lina, che avevano interrotto gli studi, dovevano riprenderli; Franca, che di scuola non aveva voglia, avrebbe potuto trovare a Roma un lavoro come dattilografa … Vittorio, ormai laureato, si sarebbe presto sposato, andando ad insegnare al liceo privato dell’Aquila. E veramente per la mia famiglia, e per me, comincia un’altra storia …

Gualtiero

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