News, Resoconti

Non mancava proprio nulla

Redazione

lbaldini


sabato 8 giugno 2024
E – Il bosco magico di Marsia


8 giugno, sveglia alle 6,15 (e allora? mi piace fare le cose con calma!); alle 7,51 usciamo dal garage e via verso la Roma-L’Aquila. Quantunque le istruzioni di Livia fossero precise, dopo essere usciti a Carsoli, non vedendo indicato Tagliacozzo né Marsia, mi assale il dubbio – dovevamo forse uscire a Tagliacozzo? – ma è un attimo, subito compaiono le indicazioni per Marsia e ci avviamo per la bella strada ombreggiata che sale dolcemente di quota. Marsia è, purtroppo, una di quelle utopie (o, per dirla tutta, speculazioni) edilizie, che per qualche decennio hanno attirato un discreto turismo estivo e invernale e poi, come Monte Livata e Campo dell’Osso, per rimanere nel Lazio, hanno conosciuto un triste declino e oggi si presentano col fascino un po’ sinistro di luoghi fantasma. Il campeggio, invece, modello di un rapporto con la natura più simbiotico e dal minimo impatto, è in attività ed è qui che ci attendono Livia e Neve, arrivate già da qualche giorno. In attività è pure il bar del campeggio, da poco rinnovato. Possiamo noi soci di Arcoiris tradire la tradizione, oserei direi la mission prevalente dell’associazione, che è quella di non farsi sfuggire mai le occasioni mangerecce? Certo che no! E allora vai con la colazione, che è già la seconda.
Mentre arrivano man mano tutti gli altri (saremo 17, per tacer del cane), studio il corso del sole per ritrovare la macchina al fresco ma non sotto le conifere (dato che l’autolavaggio non è che lo frequentiamo così assiduamente). Arrivano Alessio e Laura, ed è un piacere rivedersi a così breve distanza da una bella vacanza appena trascorsa insieme; arriva Fabio, che non conosco ma che ha un cognome che mi incuriosisce: “non è che sei parente di Maurizio?”, che conosco da quasi quarant’anni anche e col quale è da un po’ che non ci incontriamo, “sono il fratello, con questo cognome a Roma ci siamo solo noi”. Alla fine, questa metropoli è un grande paesone! E così mi aggiorno sull’amico perso di vista e gli mando i saluti, contando di rivederlo presto, magari con Arcoiris.
Arriva la macchina presidenziale, che non è una Flaminia ma ugualmente blu e per noi soci devoti altrettanto importante. E via via, arrivano tutti (tranne Luca, che ha dato forfait per un problema a una gamba). E tutti puntuali.
Messi gli scarponi, facciamo subito una sosta in mezzo al prato e ci disponiamo in cerchio. Livia, la nostra guida, è una vera professionista, mica pizza e fichi, e distribuisce a tutti le cartine col percorso più o meno a otto che compiremo oggi, dandoci indicazioni per nulla scontate su come si legge una carta topografica: dove è il nord, qual è la scala, cosa indicano i simboli, l’origine delle ombreggiature delle curve di livello (che non indicano affatto che quello sia un versante in ombra).
Solo a tratti seguiremo i sentieri segnati perché Livia vuol farci sperimentare i camminamenti delle mucche al pascolo. Le mucche, che non sono sceme (malgrado lo “sguardo bovino”), sanno scegliersi il percorso migliore, preferendo l’ombra al sole e i passaggi comodi a quelli ardui. E così faremo noi, seguendo, diciamo così, le tracce del prodotto interno lordo dei succitati bovini. Che, purtuttavia, non incontreremo di persona. Forse, dato il caldo, sono ancora più in alto. A proposito di alto, anche qui vicino c’è un Monte Cacume, toponimo evidentemente diffuso, omonimo di quello nel frusinate, già noto ad Arcoiris e anche a me.
Brandendo le nostre cartine diligentemente orientate verso nord, camminiamo impavidi per trenta, forse addirittura trentuno minuti. Urge una sosta. Si stendono i teli colorati su cui adagiare le affaticate membra. E subito è tutto un turbinio di biscotti, biscottini e frutta secca, offerti scambievolmente in adesione all’invito di Livia alla condivisione. Un solo biscotto integrale conta come una terza colazione?
Continuiamo così ad ascendere e discendere dolcemente, ora sotto faggi maestosi (ancora non ve l’ho detto, ma questa è parte della faggeta più estesa d’Europa) ora attraverso praterie punteggiate di fittissimi botton d’oro, profumato timo fiorito, esuberanti margherite. Di tanto in tanto bisogna compattare il gruppo, che si sgrana fra una chiacchiera e l’altra. E come lo compatti il gruppo? Con una sosta, of course. Of course ma non “di corsa” perché oggi non c’interessa il cimento agonistico di una vetta da raggiungere, ma lo stare nella natura, non il passare attraverso il bosco ma il camminare dentro il bosco e con il bosco, ascoltandone la voce e i silenzi.
Oggi si realizza pienamente l’escursione ideale teorizzata da Silvia agli albori di Arcoiris: «Il trekking è quella cosa che sta fra una pausa e l’altra».
Raggiungiamo una croce metallica, che si chiama Croce di Tufo ma è di ferro: magnifico punto panoramico a 1434 metri, con rituale foto di gruppo. Quindi, scendiamo di nuovo, continuando ad alternare sole e ombra.
Finalmente giunge la pausa pranzo! Ridendo e scherzando s’è fatta l’una e mezzo. E allora stendi nuovamente i teli alla mezz’ombra e tira fuori le vivande. Ce n’è per tutti i gusti, dalla sobria schiscetta vegetariana al paninazzo riccamente farcito. E di nuovo si condivide: mele a spicchi, mandorle, ciambelline del Piglio. Una menzione particolare merita Grazia, che ha preparato con le sue mani una torta rustica alle verdure e addirittura una torta di mele, cui abbiamo fatto onore. Eccezionale è non solo che le abbia fatte lei per noi ma che sia stata così abile da portarle integre nello zaino. Veramente grazie a Grazia!
Poi si rimane un po’ sbracati al sole, e la Presidente, oggi facente funzioni anche di Tesoriera, approfitta della nostra debolezza post-prandiale per riscuotere le quote, senza incontrare resistenza alcuna.
Di nuovo in cammino. Nella discesa Livia ci sorprende con un sentierino un po’ ripido, dove infìde foglie secche che possono nascondere sassi slittanti impegnano la nostra attenzione. Ma le libagioni non hanno menomato il nostro atletismo e arriviamo indenni alla nuova prateria.
Il nostro percorso ad otto sta per concludersi e Livia ci fa dono di un’altra sorpresa, una breve sessione di yoga per rilassare la mente e distendere i muscoli, di nuovo sui teli, che hanno rivelato la loro versatilità d’uso.
Allentate tutte le tensioni psichiche e fisiche, ritorniamo al campeggio. E, tolti gli scarponi (momento per me impagabile come lo sono le soste per Silvia) e prima di riprendere le automobili per la via di casa, non vogliamo fare merenda? Caffè, acqua tonica, biscotti, addirittura birra e patatine per gli accaldati trekkers.
Una menzione merita Neve. Chi mi conosce sa come io non abbia confidenza alcuna con gli animali ma non posso non rilevare la bellezza del cane di Livia, pazza di gioia quando ha visto arrivare tanta gente amica della padroncina e schiudersi la possibilità di una nuova passeggiata nel verde. Festosa ma rispettosa, bene educata, non è mai saltata addosso a nessuno, sia pure solo per fare le feste, e si lanciava in avanscoperta per tornare obbediente al primo richiamo. Proprio vero: i cani somigliano ai loro umani.
Grazie a Livia per la piacevole giornata che ha costruito per noi! Nozioni di cartografia e orientamento, invito alla socialità, pratiche di rilassamento. E benessere autentico. Niente di meglio per chi come me rifamiliarizzava con la montagna dopo una lunga latitananza. Davvero non è mancato nulla.
Scendiamo per ultimi con la macchina, attardandoci lungo la strada, dove stamattina, da bravi cacciatori-raccoglitori, abbiamo adocchiato alcune piante di ciliegio selvatico. Ma si rivelano irraggiungibili, su un pendio erto, e irto di rovi. Vabbè, sicuramente nondum maturae sunt.
Marina M.

4 Comments

  1. Bel resoconto marina, viene voglia di ritornare a vedere, per gustarla meglio, la rigogliosa natura del posto.

  2. Resoconto carinissimo, appropriato per una giornata carinissima. Marina ha uno stile brioso ed elegante: capisco perché ha insistito tanto per fare lei il resoconto! 😉

Leave a Comment