newsletter: Conversazioni iridate

Conversazione con Nadia


numero 28 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk agosto 2023


In un suo romanzo, L’immortalità, Milan Kundera, in una splendida riflessione, distingue tra una grande immortalità, possibile agli artisti e agli uomini di Stato, e una piccola immortalità. La quale, dice Kundera, è il ricordo di un uomo che vive nel pensiero di coloro che l’hanno conosciuto […].
[…] è grazie alla piccola immortalità che avviene lo scambio tra le generazioni, che la storia stessa procede nella sua progressiva accumulazione di atti e di pensieri. Il passato, infatti, non rivive solo quando noi lo richiamiamo alla memoria. Così come chi è vissuto prima di noi non rivive solo nei nostri ricordi coscienti. Voglio dire che ognuno di noi è, proprio individualmente, una piccola civiltà, che si forma per stratificazioni successive, un insieme di cose grandi e piccole apprese da qualcun’altro, che magari non sa nemmeno di avercele insegnate con una parola, con un gesto. Dentro noi portiamo le piccole immortalità degli altri.
[…] Ecco, noi vorremmo che i nostri cari, i nostri amici più generosi avessero questo tipo di immortalità. Soprattutto quelli che sono usciti di scena come sognava Frida Khalo, con un sorriso.
(Nando dalla Chiesa, Discorso notturno sull’infinito e il provvisorio, Ancona, Edizioni Affinità Elettive, 2022)

La conversazione iridata che potete leggere qui sotto non l’ho potuta fare, ma tante volte mi è capitato di pensare: “chissà cosa avrebbe fatto o avrebbe pensato Nadia in quest’occasione?”.
Poi, in una splendida sera d’estate nella piazza principale di Fano, ho ascoltato le parole di Nando dalla Chiesa e allora è iniziata una ricerca dei segni che l’amicizia di Nadia aveva lasciato dentro di me. Dunque, quelle che seguono sono parole che si possono riferire solo e soltanto a me e a qualche scritto di suoi amici e amiche.
Ognuno di noi porta dentro di sé “le piccole immortalità” di Nadia, ognuno ha una sua particolare e speciale “stratificazione”, io in modo ingenuo e un po’ impacciato vi racconto la mia.

Domanda

La pandemia da Covid ha messo in luce la fragilità delle nostre società, ma dovrebbe averci anche insegnato l’importanza della Cura. La Cura della salute, ma anche quella dei rapporti interpersonali, delle relazioni di solidarietà. Eppure a distanza di pochi mesi, sembra che ci si sia dimenticati di tutto, siamo tornati alle nostre frenetiche attività, a guardarci in cagnesco, ad essere schiacciati dalla competizione gli uni contro gli altri.
Nadia, la cura dei rapporti con le persone è una delle qualità che tutti, proprio tutti, ti riconoscono. La tua disponibilità all’ascolto e all’aiuto è divenuta proverbiale.
Ma più di tante enunciazioni di principio, forse un piccolo, piccolissimo esempio può far capire meglio a chi legge. Una tua amica ha raccontato di una caffettiera. Ci racconti?

Risposta

Ma no dai, è una stupidaggine! Francesca, una mia carissima amica, ad un certo punto si dovette allontanare dall’Italia per proseguire gli studi universitari. Per me era una perdita dolorosissima, eravamo molto legate. Mi venne spontaneo regalarle un qualcosa, un qualcosa che le potesse parlare di me, di noi, dell’Italia. All’estero, pensai, un oggetto che non può mancare è  la moka. Però una moka mai usata non fa buoni caffè e allora pensai che potevo donarle la caffettiera dei miei genitori. Faceva un buonissimo caffè e potevo sostituire la moka di mamma e papà con una nuova. Insomma, un piccolo gesto, per farla sentire a casa, la mia casa, anche a migliaia di chilometri di distanza. Io credo che occorra sempre “coltivare” quello che abbiamo, che si parli di affetti, lavoro o di cambiamenti nel nostro modo di guardare il mondo e noi stessi. Quando si lavora tanto su di sé per aprirsi agli altri e si riesce a trovare una chiave, bisogna continuare a consolidare quella modalità di apertura alla vita. Dobbiamo trovare il tempo, tempo per dedicarsi alle persone che amiamo, per le nostre passioni e per continuare sempre a lavorare senza arrendersi per essere felici.

Domanda

Quando eravamo giovani ci è capitato mille volte di sentire il ritornello pubblicitario di una casa di formaggi che recitava “la fiducia è una cosa seria”. Ora Michela Marzano scrive “la nostra società contemporanea è una società della sfiducia. È un mondo in cui la paura vince e il sospetto dilaga. Perché la fiducia è pensata e concepita solo come riproduzione contrattuale del rapporto debitore-creditore. La fiducia è invece una scommessa, dove ci si assume il rischio della relazione con il proprio simile. Una scommessa in cui si può vincere o perdere, in cui nulla è garantito, ma il cui risultato è sempre un’apertura verso il mondo. La scommessa della fiducia è la scommessa dell’umanità di ognuno di noi.”
È davvero così?

Risposta

Io credo che non si possa vivere chiusi in sé stessi, nella paura. Non si può vedere un nemico in ogni altro da te. Certo occorre fare attenzione, ma il mio impulso primario è fidarmi, è pensare che l’altro può essere un arricchimento non un pericolo.
A questo proposito mi sovviene il ricordo, ormai lontano, di un episodio che mi capitò in un giorno davvero particolare.
E’ un giorno brutto quello, uno dei giorni più bui della mia vita. E’ il giorno in cui il mio Papà se ne va per sempre, il giorno in cui divengo orfana. La terribile notizia mi arriva fuori Roma, mi sono presa una pausa e sono scappata al mare. Quanto mi piace il mare!
Ma ora una montagna mi cade addosso e via di corsa in auto verso la Capitale. Io con le macchine non sono sempre stata fortunata e mentre il mio cervello è avvolto in un nuvolone nero, la mia macchina decide che non ne vuole sapere e si ferma. Come un asino recalcitrante non vuole più andare avanti. Cosa fare? Lì c’è un bar, entro e spiego al proprietario quello che mi succede. Sono in difficoltà, non so come risolvere il problema e allora, senza pensarci su, spontaneamente mi rivolgo a quello sconosciuto e gli chiedo aiuto.
Il signore del bar è gentile, si prende a cuore la mia angoscia, il mio problema e mi dà la sua massima disponibilità. Gli lascio la macchina, gli lascio le chiavi: ci penserà lui a trovare un meccanico, a farmi riparare l’automobile. Io posso dedicarmi allo strazio di quel giorno.
E’ un episodio, probabilmente sono stata fortunata, ho incontrato una persona particolare, speciale. Eppure, io penso che l’umanità non è fatta di belve e che una vita vissuta con fiducia verso gli altri vale la pena di essere vissuta. Altro se vale la pena.

Domanda

Cambiamo argomento. Spesso ci capita di constatare una difficoltà dei nostri concittadini a coltivare il rispetto. Il rispetto degli altri, delle cose pubbliche, delle regole. Tu, nei tuoi vari impieghi all’interno delle Ferrovie dello Stato, ti sei occupata anche delle sanzioni disciplinari nei confronti di ferrovieri che non avevano adempiuto in modo corretto ai loro compiti.
Insomma il rispetto delle regole, argomento complicato nel nostro Paese.
Addirittura, durante il Covid, fu diffusa la notizia del comportamento di quel 57enne dentista di Biella che ha cercato di farsi iniettare il vaccino su un braccio di silicone posticcio, che ne pensi?

Risposta

Intanto lasciami dire che quel tizio ha cercato di imbrogliare ma gli è andata male, l’infermiera che lo doveva vaccinare si è subito accorta dell’inganno e ha smascherato il truffatore. Un’infermiera l’ha colto sul fatto. Forse, non è un caso che fosse proprio una donna!
Comunque, nel nostro Paese, la lotta per il rispetto delle regole è sempre stata difficile, dura, a volte impossibile. Quante discussioni, quante battaglie, spesso perse! Basti pensare alla lotta contro l’evasione fiscale. Decenni e decenni di dibattiti, incontri, programmi politici e leggi, ma sembra sempre che si sia allo stesso punto. Quelli che evadono le tasse sono furbi, quelli che le pagano sono fessi. No, non va bene. Le regole possono non piacerci, possono testimoniare la prevalenza di punti di vista conservatori, eppure per me il rispetto delle regole è questione ineludibile.
Senza regole la nostra società diventa giungla e con la legge della giungla i potenti sono sempre più potenti e i poveracci sono senza difese. Le donne e gli uomini sono animali sociali, non sono nati per vivere in un’isola deserta, sono nati per vivere con i loro simili. E la convivenza ha bisogno di regole, di norme che permettano a ciascuno di essere libero, ma anche di non attentare alla libertà degli altri. Ci vuole rispetto per i nostri simili e la forma più alta di rispetto è quella di seguire le norme che ci siamo dati.
Questo in tutti i campi. Ora mi viene da sorridere, ma ricordo quanto mi facevano imbufalire le assenze dei miei amici e delle mie amiche del coro del Dopolavoro ferroviario. Noi col coro avevamo deciso di prendere un impegno volontario ed eravamo consapevoli che in quel modo avevamo siglato un patto tra noi, qualcuno, immotivatamente, quel patto non lo rispettava: che rabbia!

Domanda

Concludiamo con la ragione sociale di Arcoiris, la montagna. Mi ha colpito questo scritto di Michele Serra:
A Lecco, ai funerali di Walter Bonatti, nel 2011, vidi un bel campionario di “facce di montagna”. (…) Facce molto intense, di uomini e (meno numerose) di donne. Pensai: sono forgiate dall’esposizione agli elementi, non dallo sforzo di piacere. Facce che guardano, non facce che si sentono guardate. Per dare l’idea, il contrario del lifting.
Mi si avvicina un signore di età indefinibile (non giovane, comunque), piccolo, secco, abbronzato, che pareva appena sceso da una cresta, o uscito da un rifugio.
– Lei è Serra?
– Sì, buongiorno.
– Devo farle una domanda.
– Mi dica.
– Le sembrerà una domanda strana.
– Pazienza. Me la faccia lo stesso.
– Quante fotografie di Berlusconi saranno uscite sui giornali?
– … Davvero non saprei… migliaia, immagino.
– Migliaia. Benissimo. Ne ha mai vista una di Berlusconi in montagna?
– … No. Adesso che mi ci fa pensare, non direi proprio.
– Ecco. È esattamente quello che le volevo dire.
Mi salutò e sparì.
(…) Questa storia di Berlusconi e della montagna mi è rimasta molto impressa. Ci ho spesso riflettuto. Ancora di più questa mattina, 12 giugno, che Silvio Berlusconi è morto e chi gli ha voluto bene – moltissimi – si sente orfano. (…)
Effettivamente, l’antropologia che vi ho appena descritto per sommi capi – quella del funerale di Bonatti – è quanto di più distante dalle convention di Publitalia, da quei completi blu, quell’umanità ceronata, quelle hostess sorridenti, quei colori televisivi troppo vividi per essere veri. Volessimo buttarla in vacca (che è, per altro, animale da alpeggio) potremmo dire che la montagna “è di sinistra”. Ma per carità non facciamolo, che poi ci toccherebbe aggiungere che il mare è di destra, e mi scriverebbero Giovanni Soldini e Renzo Piano, a nome di infiniti altri, chiedendomi se sono diventato scemo.
(https://www.ilpost.it/ok-boomer/la-giusta-distanza/)

Insomma Sinistra e destra anche in montagna?

Risposta

Beh no, ha ragione Serra, anche io non credo che la montagna sia di sinistra e il mare sia di destra, oltretutto il mio rapporto col mare è stupendo.
Comunque per me la montagna è sempre stata anche la condivisione del bello con altri, la solidarietà reciproca, lo stare assieme in armonia. È ovvio che tutto questo si ottiene anche col massimo rispetto di chi “viaggia” con te e la massima attenzione ai bisogni o alle esigenze di tutti.
“Insieme”, la parola chiave di chi va in montagna è “insieme”.
Tu immagina che a volte mi è capitato di rimproverare anche una grande guida come Paolo Piacentini. Una eccessiva voglia d’avventura, che qualche volta gli prendeva la mano, non poteva e non doveva mai mettere in difficoltà il gruppo! Forse ero un po’ severa, ma era proprio l’affetto per lui e gli altri camminatori che mi spingevano ad essere ferma e sincera, la sincerità di un affetto profondo.

[l’intervista immaginata con affetto è di Luciano B.]

3 Comments

  1. Che bell’intervista Luciano, mi è sembrato proprio di sentire la voce di Nadia. Ho pensato spesso a cosa avrebbe detto e fatto a proposito del Covid. Avrebbe dato fiducia alla scienza, rispettato le regole e si sarebbe incazzata di brutto con i negazionisti ed i complottisti. Ci saremmo sentite per telefono e fatta compagnia anche a distanza.

  2. Che dire? una bella intervista. A quando l’intervista con Franco?

    Eppure una domanda gliela avrei voluta fare (ma non saprei proprio immaginare la risposta), e fa riferimento a una serata in casa di amici. Si parlava di politica, lei difendeva Renzi (era l’episodio dell’asemblea sindacale al Colosseo); finimmo a litigare, strillando. Gli amici ci guardavano stupiti, non ci avevano mai sentiti così accalorati.
    E ancora oggi, spesso, quando sento qualche notizia che Lo riguarda, mi chiedo: chissà che ne avrebbe pensato Nadia? e mi dispiace non poterci litigare ancora…

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