newsletter: Taccuino di viaggio

Al Maschio delle Faete da Rocca di Papa


numero 18 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk – dicembre 2021


il lago di Castelgandolfo nella foschia

Sveglia alle 07 del giorno 07 07 di questo anno 20 20 che tante gioie ci sta dando. Dopo esserci persi sul sentiero 505 qualche giorno fa, vediamo che cosa riusciamo a fare oggi sul 509 (pp.22-23), il circuito delle Faete di Rocca di Papa. Arriviamo dalla Via Anagnina, parcheggiamo nella rinnovata piazzetta nella parte più alta del paese, dedicata a Giuseppe Di Vittorio e vediamo da lontano lo striscione dedicato al sindaco Emanuele Crestini, pubblico amministratore generoso fino al sacrificio estremo e giustamente ricordato dal Presidente Mattarella nel suo discorso di fine 2019. In mezzo a tanti guai che sono capitati in questi mesi, e quello grosso del covid, avevo dimenticato l’episodio di poco più di un anno fa: a seguito di un danno provocato a una conduttura del gas da lavori geognostici sul corso del paese, c’era stata una grande esplosione, che aveva coinvolto il palazzo comunale e l’adiacente scuola dell’infanzia. Il sindaco, quantunque ferito ed ustionato, si era adoperato per la sicurezza di tutti i presenti, dipendenti e cittadini, e, come un valoroso capitano di nave, aveva abbandonato per ultimo il palazzo, quando ormai i suoi polmoni erano stati irrimediabilmente compromessi dal fumo respirato. Nessuno si ìrriti se, alla brechtiana frase “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”, stavolta preferisco l’affermazione di Marcello Veneziani (sì, lo so, lo so!) “Beato un popolo che riconosce di aver bisogno di eroi” e li onora adeguatamente.

Ma torniamo al nostro trekking, un anello che parte, appunto, da piazza Di Vittorio (fontanella! non ci sono fonti sul cammino, stavolta) e sale al Maschio delle Faete, vetta più alta dei Castelli (956 m.). Il primo tratto è ancora su asfalto e procede all’ombra in mezzo a delle ville (volendo, si potrebbe anche parcheggiare qui, come mostrano le macchine presenti). Ben presto il sentiero incrocia la Via Sacra che sale verso Monte Cavo (non nei pressi dell’edicola votiva di Santa Rita, come dice il citato pdf curato dal Parco, ma ben prima) e si prosegue sul basolato della via cerimoniale, raggiungendo un punto panoramico senza uguali, il belvedere detto da alcuni “dell’occhialone” e dai più poetici “degli occhi di Venere”: un affaccio magnifico su un mare di verde nel quale spiccano i due laghi di Nemi e Castelgandolfo. Con l’aria tersa (ma non è il caso di questa giornata di luglio, nella quale le temperature arriveranno a 35 gradi e la foschia vanificherà l’esserci ricordati di portarci appresso il binocolo) si possono vedere anche il Circeo e le Isole Pontine. Noi ci accontentiamo della vista incantevole dei due laghi ai nostri piedi e facciamo qualche foto. Di una sono particolarmente soddisfatta: il palazzo papale si specchia nel lago sottostante. Al belvedere c’è un gruppo di escursioniste accompagnate da una guida e dopo di noi arriva un’altra guida con una cliente con bastoncini azzurri. Ancora per un po’ ci imbatteremo in diversi altri camminatori, solitari o in coppia, a piedi o in bike, che stanno facendo il giro nell’altro verso. Più tardi non ne incontreremo più. È vero, in estate bisogna muoversi presto perché poi fa caldo ma ieri sera trasmettevano un sacco di film per ricordare il Maestro Morricone e, guardando un po’ l’uno un po’ l’altro, siamo andati a letto tardi. Poco oltre il belvedere siamo di nuovo sulla carrozzabile che sale al Monte Cavo; la prendiamo in discesa ma, fortunatamente, dopo poco siamo di nuovo nel bosco.

tappeto di fiori di castagno

Che è un bosco prevalentemente di castagno (non ceduo, però, e questo ci risparmierà gli inconvenienti dovuti alle piste tracciate dai boscaioli che ci hanno fuorviato l’altra volta, sul citato 505), misto a lecci e a qualche faggio. Diverse piante di nocciolo e rovi di more in fioritura suggeriscono a noi cacciatori e raccoglitori di tornare verso l’inizio di settembre. Senza troppa difficoltà ma con qualche sorpresa dovuta alla presenza di tratti asfaltati qua e là, avanzando in cresta per lungo tratto, arriviamo al Maschio delle Faete. Delude il fatto che del Maschio restino quattro sassi e per giunta compresi all’interno della recinzione dei ripetitori, che fanno da pendant a quelli di Monte Cavo. Nessun cartello con un minimo di notizie e nessuna veduta panoramica perché siamo nel folto della vegetazione (probabilmente, in inverno, trattandosi di caducifolie, si vede qualcosa di più). A questo punto il segnale del 509 latita: abbiamo superato il bivio con il 516, che porta agli Orti di Barbarossa e qui, sotto il ripetitore, c’è solo l’indicazione “Itinerario geoturistico”: poiché non abbiamo alternative al tornare sui passi, lo imbocchiamo. Si procede in lieve discesa, calpestando il delicato tappeto dei fiori di castagno (a un certo punto intravvediamo anche delle arnie: ah, sapere chi e dove vende quel miele!). Dopo un tratto di strada bianca arriviamo all’edicola della Madonnella, che protegge i boschi dal fuoco: qui ricompare il segnavia del 509, assieme a quello del 517, che va verso il centro ippico federale di Vivaro, e all’indicazione verde dell’ippovia Rocca Priora-Rocca di Papa, che altra volta, errando, percorremmo. Un paio di cento metri più avanti arriviamo alla Forcella e da lì è tutta salita, nell’ultimo tratto scoperta, verso Colle Jano. Lì troviamo una croce meschinella, nessuna possibilità di veduta, un paio di occhiali da sole da donna perduti chissà da chi e il segnale del 509 verso Campi d’Annibale, che è la nostra destinazione per tornare al parcheggio. Quest’ultimo tratto è un’autentica tragedia: si capisce ben presto che nessuno lo percorre da tempo, pieno di rami di rovo (la prossima volta calzoni lunghi!), non è altro che un’eterna cunetta dal fondo polveroso e pieno di radici da inciampo (nel periodo delle piogge non sarà altro che un torrente di fango). Arriviamo ad una sbarra, indicata dalla descrizione che ho scaricato dal sito del Parco dei Castelli, ma senza essere passati dalla pur segnalata area di sosta di Valle dei Caprai. E qui ricompare l’indicazione del 509, per chi intraprende il sentiero secondo il verso opposto al nostro, ma la tabella non è rivolta verso il precipizio da cui siamo scesi bensì verso un ben più ampio e comodo sentiero: viene da pensare che recentemente (forse) il Cai abbia deciso di abbandonare quella sderròita (come diremmo noi della Terronia) che mette a rischio almeno le caviglie degli escursionisti e vi abbia sostituito una variante, senza, però, indicarne l’attacco da entrambi i lati. E allora il mio pensiero affettuoso è andato a quell’attempata Pippi Calzelunghe col cane, che abbiamo incontrato poco dopo il belvedere sulla Via Sacra e che, senza che le avessimo chiesto niente, prima ci stava indirizzando in direzione sbagliata, poi si è diffusa sul rischio di incontrare cani maremmani con greggi, sull’opportunità di avere con noi un bastone (lei lo porta sempre perché il suo cane è un “maschio intero”: «magari a voi non serve», voleva forse insinuare che mio marito non lo sia?), e sul fatto che lei il sentiero lo fa anche con la bike, e che è di Roma ma vive lì, e che il suo passatempo è dare indicazioni – non richieste – agli escursionisti eccetera eccetera eccetera. E che non ci ha detto l’unica cosa utile: come si fa da Colle Jano a scendere verso il paese imbroccando il pur non segnalato comodo sentiero.

in discesa dal Maschio delle Faete

Tornata a casa ho constatato su diversi blog come, in stagioni diverse, molti escursionisti abbiano incontrato le nostre stesse difficoltà nel medesimo tratto.

Arrivati alla citata sbarra, siamo alle prime case e dovremo camminare ancora un po’ in piano e poi in salita verso il parcheggio. Le mie previsioni sull’avanzamento dell’ombra sono giuste: la macchina è al fresco. Ci rinfreschiamo alla fontana e ci mangiamo i nostri paninetti alla frittata sotto un giovane e profumato tiglio. Caffettino della nostra bottiglietta (no, al bar ancora non siamo tornati, manteniamo il “distanziamento sociale” allo stremo) e passeggiata alla vicina fortezza. Ci vuole il nostro coraggio a salire alle due del pomeriggio, con 34 gradi, ma siamo ricompensati dalla rinnovata veduta sul lago di Albano.

Consiglio! Arrivati a Colle Jano, tornate sui passi: non perderete nulla quanto a veduta (anzi, potrete ripassare per il belvedere dei due laghi), eviterete di fare un lungo tratto fra le villette della parte nuova del paese (a noi, almeno, non piace camminare sull’asfalto, se si può evitarlo) e vi ritroverete direttamente alla piazza del parcheggio.

[scritto il 7 luglio 2020: se volete andarci, verificate prima eventuali modifiche di tracciato]

Marina M.

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