newsletter: A parole

Ambulando solvitur


numero 18 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk dicembre 2021


Solvitur ambulando, camminando si risolve. La frase è attribuita a Diogene di Sinope (412 a.C.- 323 a. C), l’austero filosofo cinico che viveva in una botte, forse uno dei primi ecologisti. Con queste due parole Diogene confutò il paradosso di Zenone, quello di Achille e la tartaruga, con il quale il filosofo di Elea, discepolo di Parmenide, mirava a sostenere che il movimento è illusorio, detto in soldoni.

Per noi (noi io), che non ci avventuriamo negli ardui sentieri della filosofia e della matematica, la frase sintetizza magnificamente il fatto che il camminare ci aiuta a risolvere i problemi. Lunga la lista di pensatori che nel tempo hanno fatto propria questa modalità di meditazione e approssimazione alla soluzione delle questioni personali e generali: Socrate, che passeggiava per Atene, esercitando la maieutica sui passanti; Kant, sull’orario delle cui passeggiate quotidiane i concittadini rimettevano l’orologio; e Montaigne, Rousseau, Thoreau, Nietzsche, Heidegger (https://www.arcoiristrekk.it/newsletter-leggere-fra-le-righe/il-sentiero-di-campagna-di-martin-heidegger/), Cioran, per citarne solo alcuni. Fra gli scrittori ricorderemo almeno Baudelaire e la sua flânerie, quel vagabondare pigro per le strade, facendosi un tutt’uno con la folla; e poi Chatwin, che ci insegna che in tibetano la parola a-Go ba indica insieme ”l’essere umano” e ”colui che migra”. Fra gli inventori mi piace ricordare lo straordinario Nikola Tesla, che concepì il motore elettrico a corrente alternata durante una passeggiata per le vie di Budapest. E mi è caro il ricordo di Oliver Sacks, che accompagnava i suoi pazienti a passeggio all’Orto Botanico di New York.

Quando ero ragazzina avevamo, durante i mesi invernali, una bella consuetudine domenicale con papà: mentre il resto della famiglia si abbandonavano ai programmi televisivi pomeridiani, noi due ce ne uscivamo per quella che chiamavamo la “Marcia longa”. Subito dopo pranzo, con passo sostenuto, ci avviavamo all’Eur: viale Oceano Atlantico, lo Shangrilà, il Palazzo dello Sport, il laghetto e poi su, fino a Via Ciro il Grande, dove, mentre faceva buio, prendevamo a capolinea l’autobus (allora si chiamava 193), per tornare a casa, spesso con una bella raccolta di pinoli.

E quella passione per il camminare mi è rimasta. Quando studiavo da troppe ore e mi veniva il mal di testa, niente di meglio di una camminata, anche breve, anche solo con la scusa di comprare il pane. E il mal di testa si scioglieva. E funziona tuttora.

E quando ero contrariata o delusa da qualcosa o qualcuno e capivo che uscire mi avrebbe sottratta a spiacevoli contrasti e rasserenata attraverso quella sana stanchezza dei passi lunghi e ben distesi, la camminata mi alleggeriva l’umore. E funziona tuttora.

E quando avevo bisogno di chiarirmi le idee o prendere decisioni o preparare azioni o dare risposte a domande o comprendere le idee/decisioni/azioni/risposte degli altri, camminare mi aiutava a prendere le distanze dal mio punto di vista, da ciò che davo per scontato e a scegliere un altro punto di osservazione. E funziona tuttora.

Proprio vero: cammina, e ne verrai fuori!

Marina M.

1 Comments

  1. Che dire della nostra migliore penna? (oltre a Gualtiero, Rossella, Caterina,……) Belli i ricordi da ragazza, sembra di vederli, padre e figlia, che camminano per la città.

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