newsletter: Leggere fra le righe

Lo stradone, fra utopia comunista e periferia distopica


numero 9 – Newsletter dell’Associazione Arcoiristrekk – giugno 2020


la copertina, con disegno dell’autore

Stavolta vi propongo una lettura non immediatamente connessa, come è regola di questa rubrica, al camminare o all’ambiente (anche se l’ambiente urbano, o meglio la sua decostruzione, è uno dei temi svolti), ma legata ad una nostra uscita di trekking urbano, perché per ”lo stradone” e dintorni, che fa da sfondo all’omonimo libro di Francesco Pecoraro, ci aggirammo in una mattina di dicembre 2018. Vi invito a rileggere il resoconto di quella passeggiata in cui ci accompagnò la nostra Francesca, che diede a quel tour, anche grazie agli incontri che ci procacciò, un’impostazione che riecheggia quella del libro.

Il libro,dunque, edito da Ponte alle Grazie nel 2019, segue tre piani di racconto: l’amaro vissuto del protagonista, “comunista interiore”, pensionato quasi settantenne, alle prese con la decadenza fisica e soprattutto con il fallimento di un’esistenza e di un’utopia politica; la storia, nel suo piccolo gloriosa, della borgata operaia di fornaciai spazzata via dalla modernità; l’oggi di quello stesso territorio, esempio di disastro urbano.

Siamo a Valle Aurelia, periferia squassata della “Città di Dio”, exemplum del “ristagno” di questi anni venti, fra impoverimento delle classi medie, scomparsa della sinistra, ambizioni di promozione sociale che non vanno oltre l’esibizione di uno status (finto), ostilità dei vecchi (ex) proletari verso i nuovi immigrati.

Il narratore è un architetto che avrebbe desiderato un ruolo accademico ma è stato respinto dalle roccaforti baronali e precocemente ha accettato il compromesso di un posto al ministero dei lavori pubblici, rinunciando ai sogni di studioso e presto tradendo il partito, per farsi socialista, e corrotto. Le mazzette, l’arresto, qualche mese dentro, la riassunzione in un ruolo defilato, il pre-pensionamento. Tutto questo è il passato del narratore, che oggi, dal settimo piano della “palazzata” dove vive o dai marciapiedi dello “stradone” o dal bar Porcacci, rievoca la storia di quella enclave comunista all’ombra del Cupolone (“la piccola Russia”), fa l’amaro bilancio del tracollo della politica, ed osserva, con pietà dissimulata, lo sfacelo antropologico che lo circonda.

Il miracolo economico (se mai c’è stato) ha lasciato il posto al “Ristagno” (Pecoraro abbonda di maiuscole), di cui i pensionati, prevalenti nel tessuto sociale del “Quadrante delle Argille”, sono l’espressione più feroce, con il loro sopravvivere fra “riscette dda mutua”, “a squadra”, il “coriere doo sporte”, smanicati giacchetti multitasche, pinocchietti e immancabili “canetti con gli occhi a palla”. Diciamo che, se vi aggirate come età da quei paraggi e se lo leggete, come ho fatto io, in fase 2-bis dell’emergenza covid, vi può anche venire una ‘nticchia di depressione, ma se vi interessa un’analisi competente (Pecoraro è un architetto che ha lavorato per 35 anni al Comune di Roma) e spietata di come una città che è stata “maestra di sintassi urbana” abbia potuto diventare l’orrore che è, e se vi incuriosisce la storia della Valle dell’Inferno – compresa la mitica visita del compagno Lenin nel 1908 – da orgogliosa comunità cui la politica dava dignità e speranza a coacervo di etnie e classi contraddistinte da disperazione indecorosa, questo romanzo-saggio fa per voi.

Merita menzione la scrittura di Pecoraro, densa e fluida a un tempo, il suo periodare fluviale ma non faticosi, che procede per accumulo, gli intarsi del parlato romanesco. E, sopra ogni cosa, lo sguardo che sa posarsi, per andare oltre, sulle bottiglie vuote di Peroni diligentemente allineate sul travertino, sugli adesivi dei traslocatori incollati alle serrande, sulla microblatta che si lascia scivolare lungo la parete della vasca da bagno: lo sguardo di un osservatore pieno di umana comprensione e di stupefatto dispiacere.

Come sempre, segnalo il Catalogo Unico Nazionale, dove cercare, in alternativa alle librerie, le biblioteche che possiedono il volume.

Rinvio alla rubrica “A parole”, in questo stesso numero, per alcune citazioni che mi sembra rendano bene lo spirito del libro.

Marina M.

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